La leadership che manca

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Ciò che è successo a Roma è decisamente grave. Non tanto la prestazione del Milan, a cui ormai siamo abituati soprattutto a livello difensivo (basti riguardare tutte le reti subite dalla peggior difesa della Serie A… tutte uguali), quanto l’episodio Theo-Leao durante il cooling break. Due tra i giocatori più rappresentativi della squadra si sono alienati dal gruppo, in aperta polemica contro la guida tecnica che li aveva esclusi dalla formazione titolare dell’Olimpico. I toni di Di Canio sono stati senza dubbio coloriti, com’è nel suo stile, ma difficile dargli torto: una scena simile sarebbe stata inammissibile anche al calcetto del mercoledì sera, figurarsi su un campo di Serie A. Questo episodio certifica tre grandi problemi che il Milan ha fuori dal terreno di gioco (dove già le cose che non vanno si sprecano).

Il primo: la leadership nello spogliatoio. Se pensiamo che ora come ora l’unico potenziale leader – Morata – è un giocatore arrivato due mesi fa scarsi, capiamo come siamo messi. I veterani tra i titolari sono Maignan, Tomori, Theo, Leao, più il capitano Calabria. Nessuno di loro, forse ad esclusione di Maignan, è davvero un leader della squadra. La cessione di Tonali ha forse creato un vuoto più di carattere che tecnico, paradossalmente. Quando si costruisce una nuova rosa con giovani calciatori – come accaduto anni fa – il lavoro da portare avanti non è solo tecnico e tattico, ma anche caratteriale. Nel Milan Pioli è stato un papà comprensivo per questi ragazzi, ma forse non la figura più adatta per una crescita emotiva (posto che evidentemente mancavano anche le basi). Questo il motivo per cui tanto si è fatto affidamento sul carisma di Ibra, deus ex machina dello spogliatoio rossonero che però non ha fatto maturare ciò che ha seminato, ammesso abbia seminato qualcosa.

Secondo: la leadership del tecnico. Credo che la plateale protesta di Theo e Leao sia stata quella di due “stelle” che sanno di essere irrinunciabili. O almeno, più irrinunciabili di Fonseca. Una protesta alla “la palla è mia e decido io”. Infantile, siamo d’accordo, ed entrambi hanno torto marcio, su questo non ci piove. L’allontanamento dei due è tuttavia a mio avviso anche segnale dell’incapacità del tecnico portoghese di integrarsi nel gruppo, di essere visto come leader da seguire. O anche solo della sua incapacità di motivare ai giocatori una scelta tecnica in fin dei conti non solo legittima, ma diciamocelo, sacrosanta. Non possiamo essere sicuri di come Fonseca si sia posto con il connazionale e il francese, ma comunque lo abbia fatto ha creato certamente un muro con loro. E questo, quando devi gestire un gruppo – non solo mandarlo in campo come Cristo comanda – è parte del suo lavoro. Forse anche la parte più importante.

Terzo: la leadership della società. La nostra non è una dirigenza forte. Non lo è nell’ambiente di Milanello, nell’ambiente milanista, nel calcio italiano. È un board composto da un uno scout, un amministratore delegato bravo a parlare ma forse molto meno a tirare le fila di una squadra e da un ex giocatore messo lì come “garante dei tifosi” ma che oltre a ripetere qualche slogan finora ha contribuito a poco. È un board – Moncada a parte – molto mediatico ma poco di sostanza: tanto fumo e poco arrosto. Mi verrebbe da dire composto non da professionisti del settore, anche qui Moncada a parte (non a caso la figura più defilata dal punto di vista gestionale). Questo conduce a una sorta di anarchia, a una polveriera con pochi punti di riferimento solidi e tanta confusione. Prima di essere calciatori e allenatori, questi ragazzi sono persone, e come persone devono essere gestite nel bene e nel male, con presenza e ascolto costanti. Non sono sicuro che sia questo ciò che avviene a Milanello, e se anche avvenisse evidentemente viene fatto in modo disfunzionale.

I risultati di campo sono un prodotto anche – soprattutto – di queste dinamiche. Siamo già al punto che se dovessimo sbagliare male le prossime tre partite dovremmo ricominciare da capo la stagione, un po’ come il 2019 principiato dal maestro Giampaolo e concluso da Pioli. E siamo solo all’alba di settembre. Auguri a noi.

Fab

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.