Atalanta-Milan presentazione

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Ragazzi, dite che c’è davvero bisogno di parlare della partita di questa sera? Di disposizioni tattiche, infortuni, di come ci arriviamo, delle scelte di Pioli? C’è davvero qualcosa che posso o possiamo scrivere che non ci farà comunque pensare incessantemente e inevitabilmente all’occasione che rischiamo di gettare clamorosamente al vento? Perché qui il punto non è tanto riuscire o non riuscire a raggiungere un risultato che strameritiamo di raggiungere, ma il fatto che non siamo riusciti (e probabilmente non riusciremo) a raggiungerlo per colpa nostra. Un verso che ho sempre amato profondamente di Walt Whitman recita “I contain multitudes”, contengo moltitudini. Moltitudini inteso in senso parecchio lato, come “contraddizioni”. Noi, noi in quanto Milan 2020/2021, siamo estremamente contraddittori perché obiettivamente è vero che meritiamo di andare in Champions League, ma è anche vero che se non riesci a chiudere una partita con il match point sulla racchetta e mandi lo smash in rete, allora forse non meriti nemmeno di vincerla, la partita. Esistono questi due Milan, contemporaneamente ed entrambi altrettanto autentici, perfettamente in contraddizione: quello che merita e quello che non merita.

E’ un po’ il dualismo all’interno di ognuno di noi, quello cinematograficamente (specie nei cartoni) banalizzato con la versione di se stesso come angioletto poggiata su una spalla e la versione come diavoletto appollaiata sull’altra. Nei cartoon entrambi parlano all’orecchio del protagonista per influenzarlo, ma poi è sempre lui che decide. Perché ciò che alla fine fa la differenza non sono le condizioni in cui ci si trova (che comunque incidono parecchio, sia chiaro): ciò che alla fine fa la differenza è la nostra scelta, chi noi decidiamo di essere ogni giorno, se la versione migliore o la peggiore di noi stessi. Le condizioni di cui parlavamo prima possono influenzare la nostra scelta, ma essa rimane libera e personale, e di quella non possiamo che prenderci tutta la responsabilità.

Contro Juventus e Torino il Milan ha deciso di essere quello del girone d’andata: concentrato, spietato, fresco e bello. Contro il Cagliari ha deciso invece di essere quello di gran parte del girone di ritorno: lento e svogliato, irritante, impreciso. Chi saremo contro l’Atalanta dipende solo da noi. Non da Gasperini o Ilicic, Zapata o Pasalic. Quelli li possiamo battere, tranquilli. Esattamente come loro possono battere noi. Esattamente come potremmo pure pareggiare. Siamo noi che dobbiamo decidere se è giunto il momento di fare quel passettino in avanti in più che ci può donare la consapevolezza di poter essere davvero padroni del nostro destino, di poter decidere di essere una grande squadra. Questo è ciò che a mio avviso ha fatto gran bene Pioli in questo anno e mezzo al Milan: ha normalizzato una squadra colma di contraddizioni, le ha ridotte al minimo a livello tattico e tutto ha cominciato a funzionare meglio. Con il perfezionamento del meccanismo sono arrivati i risultati, con i risultati la sicurezza nei propri mezzi. Un po’ come un bambino che impara a leggere o ad andare in bicicletta: la sicurezza arriva con la pratica, una volta che si smette di inciampare e cadere, che sia su un “gn”, su una doppia consonante o sull’asfalto. Quella consapevolezza nei propri mezzi è scemata nell’ultimo periodo dal momento che dipende pur sempre dai risultati. È tuttavia ancora lì, sotto la cenere, e ci vuole poco che ricominci a bruciare. Ecco, il Milan deve tornare a bruciare come a Torino, un’ultima volta, o ci dovremo abituare a un altro anno senza Champions. Uno in più, uno in meno, non fa la differenza. La vittoria di stasera farebbe la differenza non perché il prossimo anno potremo finalmente andare a giocare a Barcellona o Londra: la vittoria di stasera significherebbe invece un passo avanti nella crescita di un gruppo che a me, comunque vada, è piaciuto e piace ancora. Con i suoi difetti, per carità. Vincere per crescere, non per la meta. Per il resto, sempre Forza Milan!

Fab

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.