Io mi devo scusare con tutti Voi Nighters, perchè questa settimana è stata abbatanza densa di impegni a livello lavorativo e ho seguito poco le vicende calcistiche e non calcistiche di questa prima settimana di pausa per la nazionale. Una nazionale che non riconosco perchè rappresenta una federazione poco limpida e pulita per essere gentili. Una settimana che ha visto Maignan essere indicato come il nuovo amazza attaccanti, quando lo stesso portiere genoano Martinez fece più o meno la stessa cosa contro il torino, ma li a Zangrillo andava bene. Poi ci mancava l’ennesima vicende sulle scommesse e tutto il teatrino di San Siro. Onestamente non ho molta voglia ma soprattutto non ho le necessarie conoscenze per poter dire la mia opinione su questi elementi. Quindi rinvio tutto al prossimo articolo soprattutto spero di avere le idee più chiare.
Però mi seccava saltare il mio appuntamento con Voi, e in un periodo dove si fa sempre fatica ad individuare bandiere o capisaldi in questo calcio che sta cambiando in maniera velocissima, quindi ho provato a tracciare un ritratto del mio Capitano: Franco Baresi.
Buona lettura Nighters.
25 agosto 1978, stadio di San Siro, si gioca Milan – Flamengo partita dell’allora torneo Città di Milano. Vincono i rossoneri con un gol di capitan Rivera e con il numero 4 gioca un ragazzino della primavera. Ad un certo punto il “piscinin” si volta verso Rivera, e a muso duro gli urla “Allora me la passi”, ed il capitano gli risponde “subito” e pensando tra se e se, “Buon carattere può fare strada questo piscinin”. Tal Piscinin risponde al nome di Franco Baresi.
Piscinin è un termine che si usa nel dialetto milanese facendo riferimento ai bambini ma, nel calcio moderno questo termine viene associato a Franco Baresi, uno dei più forti difensori del mondo, uno che ha vinto tutto, che ha scritto pagine storiche del calcio italiano e soprattutto del Milan, diventandone la bandiera del club che ancora oggi sventola a San Siro.
Come e dove inizia il mito di Franco Baresi? Con un rifiuto, venendo scartato dai cugini neroazzurri a quattordici anni (nelle giovanili dell’Inter giocava già il fratello Beppe di due anni più vecchio).
“Devi crescere, magari torni il prossimo anno”. Questa fu la motivazione che l’allora responsabile del settore giovanile dell’Inter diede a Baresi. Uno degli allenatori del settore giovanile interista era Italo Galbiati, che in disparte osserva con aria severa al provino del ragazzo.
La stagione successiva Italo Galbiati passa al Milan, e non si è dimenticato del provino di Baresi, e manda chiamare Franco, quindi nuovo esame ma stavolta a Milanello. Una partitella da terzino non è sufficiente per il buon esito, gli fanno anche fare il ruolo di libero. Questo ruolo lo svolge egregiamente, e Galbiati, che era già stato colpito in positivo quando era all’Inter dal ragazzo, si convince definitivamente ad investire su di lui. I dirigenti della sua squadra non sono d’accordo, perché è alto solo 1.64 cm e dicono che non crescerà e hanno paura di fare una pessima figura con il Milan.
Galbiati non si arrende, e la società rossonera lo compra dall’Unione sportiva oratorio per un milione e mezzo di lire, e Galbiati fa un accordo non scritto con i dirigenti dell’USO “Vi diamo un milione per ogni centimetro in più se va oltre il metro e settanta”. Baresi arriva a 1,76, la promessa è stata onorata? Franco sorride alla domanda e dice:” Non lo so…..”
E così inizia l’avventura in rossonero, dove si fa notare per l’eleganza dei movimenti e l’attitudine a difendere meglio degli altri.
Inizia la sua carriera con i grandi nell’estate del 1977 e debutta il 23 aprile 1978 (4 mesi prima della partita con il Flamengo) a Verona, vittoria per 2-1 e lui gioca con grinta e determinazione risultando il migliore in campo.
Liedholm con l’appoggio di Gianni Rivera nella stagione successiva, quella che porterà allo scudetto, lo promuove titolare e giocherà tutte e trenta le partite vincendo lo scudetto della stella da protagonista. Rivera si batte perché anche il neo maggiorenne Franco abbia il premio scudetto, cinquanta milioni di lire, e Baresi subito si compra la macchina, una golf grigia.
Nelle stagioni 80/81 e 82/83 per motivi diversi il Milan gioca in serie B, e in una trasferta dell’83 conosce ad Arezzo la moglie Maura, che restituisce il sorriso al ragazzo, provato dalla malattia che lo colpì (setticemia) poco prima del mondiale spagnolo del 1982, e che gli fece saltare buona parte della stagione appena conclusa con la retrocessione sul campo, e dalla morte improvvisa del padre, travolto da un’automobile, proprio davanti all’oratorio, dove il piscinin aveva iniziato a dare i primi calci ad un pallone.
Nell’estate del 82, in piena euforia mondiale per la vittoria dell’Italia in Spagna, per un Collovati che lascia Milanello per non giocare nuovamente in serie B, c’è un Baresi che decide di rimanere in rossonero e di non accettare le molte offerte arrivate in via Turati, tra cui anche l’Inter del fratello Beppe.
I tifosi non dimenticano ed elevano Franco a leader incontrastato e sbocciò un amore lungo vent’anni, e che anche dopo il ritiro agonistico l’amore dei tifosi verso il loro capitano è rimasto immutato.
Baresi visse il caos societario del Milan tra l’80 e l’85, praticamente fino all’arrivo di Silvio Berlusconi. L’arrivo dell’imprenditore milanese coincide con la nascita del grande Milan che vincerà tutto, solo nel biennio 89-90 Baresi alzerà al cielo uno scudetto, due coppe campioni, due intercontinentali e due supercoppe europee.
Per descrivere il suo modo di giocare possiamo dire che il capitano rossonero era l’ultimo difensore in fase di non possesso e il primo regista in fase di possesso palla, e interpretava queste due fasi in maniera eccelsa, trasmettendo un’idea di insuperabilità con la palla al piede.
Un giorno chiesero all’avvocato Agnelli la sua opinione sulla differenza tra Scirea e Baresi, e l’avvocato torinese rispose alla domanda “Scirea era più elegante, Baresi qualche botta la dà, ma come guida la difesa e talvolta addirittura la squadra non la guida nessuno. E’ un giocatore formidabile”.
La personalità, non ha mai fatto difetto a Baresi, e il dominio mentale e tecnico che metteva in campo, si traduceva nella capacità di anticipare le mosse dell’avversario tanto da indurlo a prendere scelte sbagliate.
Baresi è entrato nel nostro immaginario per la sua capacità d’anticipo e per il suo braccio alzato a chiamare il fuorigioco. Proprio con Sacchi, Baresi fa un grande cambiamento tattico, la difesa non sarà più due marcatori con il libero, ma 4 giocatori in linea e lui diventa il difensore centrale per eccellenza, anche se ha sempre un modo tutto suo personale d’interpretare il ruolo, cercando sempre l’anticipo o il contrasto lontano dalla porta, piuttosto che difendere la posizione e cercando di convertire in azioni difensive in offensive, contribuendo attivamente all’inizio dell’azione d’attacco.
La partita che ha caratterizzato maggiormente la sua voglia di vincere e la sua caparbietà è la finale di Pasadena contro il Brasile del 17 luglio 1994. Il capitano giocò quella partita 23 giorni dopo l’infortunio al menisco. Un infortunio che per qualsiasi giocare, avrebbe rappresentato la fine della competizione, ma non per lui ed in quella partita fu il migliore in campo guidando una difesa che in 120 minuti causa l’infortunio di Mussi cambio sistema tattico.
In quella finale ha giocato al di sopra di una condizione precaria, in cui istinto e razionalità si sono unite in un tutt’uno incredibile, e dove ha esasperato ancora di più il concetto del gioco d’anticipo.
Purtroppo quella partita viene ricordata più per il rigore sbagliato, che per la prestazione sontuosa, perché anche in quella occasione dimostrò tutta la sua personalità, e da bravo capitano stremato dai crampi sbagliò il rigore arrivando con la gamba d’appoggio troppo avanti, e mandando il pallone sopra la traversa.
Nel 1999 è stato votato dai tifosi rossoneri il “Milanista del secolo” arrivando davanti a Rivera, Nordahl, Liedholm, Van Basten e Maldini. Un successo che rende la misura di quanto sia stato amato, e di quanto lo sia ancora adesso dai suoi tifosi rossoneri e quanto lui sia legato ai suoi colori il rosso e nero.
E come ha detto Frank Rijkaard “Franco è sempre il mio capitano, a lui bastava lo sguardo e non servivano molto parole”.
Perché il Piscinin da quel lontano giorno dell’estate del 1978 di strada ne ha fatta tanta…..e tutta a tinte rossonere.
W MILAN
Harlock
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