Milan-Napoli presentazione

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La settimana pre Milan-Napoli ha avuto due protagonisti assoluti: non Gattuso e Ancelotti, allievo e maestro uno contro l’altro, protagonisti, ognuno a suo modo, di uno dei cicli più vincenti del Milan berlusconiano (e non solo). A rubare la scena sono stati Piatek e Higuain, il nuovo e il vecchio bomber, che si sono dati il cambio in una staffetta annunciata da tempo, per quanto inimmaginabile fino a pochissime settimane fa. A stupire è stato in particolare – naturalmente – l’addio del Pipita al Milan, a una sfida che in estate aveva voluto cogliere per rimettersi in gioco dopo esser stato scaricato dalla Juventus. L’argentino al Milan avrebbe ricoperto il ruolo di leader indiscusso, tanto a livello tecnico, quanto caratteriale. Se solo l’avesse voluto. Avrebbe avuto qui una chance vera, tangibile, reale, per disfarsi dell’ombra di Ronaldo, che lo aveva costretto a lasciare una squadra che solo due anni prima aveva voluto raggiungere anche a costo di mettersi contro una città intera e gran parte d’Italia. Invece, Higuain ha scelto la fuga, un’altra in una carriera in cui non è riuscito mai a diventare la stella più fulgida di un club prestigioso (a Madrid era oscurato da diversi suoi compagni, a Torino dalla stellina di Dybala), a portarne uno di media grandezza e di grande ambizione a vincere qualcosa di davvero importante (Napoli) e nemmeno nella sua Nazionale a essere decisivo nelle diverse finali giocate. Insomma, un grande giocatore, un attaccante formidabile, un campione a cui però è mancato sempre quel qualcosa in più, quella spinta di carattere che invece altri cannibali hanno.

In questi giorni, anche piacevolmente, il tifo milanista si è coalizzato contro il Pipita. Un buon segno di unione indubbiamente, ma non deve farci dimenticare quelle che sono le mancanze di una squadra che da anni, a prescindere da tutto, non riesce ad avere un’identità offensiva. Che sia colpa dei calciatori, dei bomber scelti di anno in anno? Sarebbe potuta essere una spiegazione plausibile nei casi del Torres a fine corsa, di Destro, di Lapadula, ma non di Higuain, il miglior bomber dell’ultimo lustro (e oltre) di Serie A. Che sia colpa dell’egoismo dei Suso, Bonaventura e Calhanoglu? Potrebbe essere, ma la sofferenza dei numeri 9 si è vista anche senza di loro. Colpa degli allenatori? Del modulo? Degli allenamenti? Delle cavallette? Non si sa: sappiamo solo che il Milan è riuscito a non far rendere uno dei migliori attaccanti al mondo. E la colpa non può essere solo del Pipita. Auguri a Piatek.

Ancelotti lì lì per soffocare con un mozzicone di sigaretta dopo il gol del 3-2 contro l’Ajax. Per Gattuso ci sarebbero stati gli estremi per l’omicidio colposo

Arriviamo ora alla sfida di stasera, fondamentale per tenere a giusta distanza chi rincorre insieme a noi l’ultimo posticino Champions. L’avversario non è dei più semplici, per usare un eufemismo: quel Napoli forse un po’ destabilizzato dal “caso Allan”, ma comunque sempre una delle due migliori squadre italiane da diversi anni a questa parte. Di fronte una squadra con la più forte identità di gioco nel nostro campionato (e non solo, forse) e un’altra che la propria dimensione la cerca a cadenza settimanale, continuando a interrogarsi su chi sia, su quanto valga, da dove venga. A confronto, come detto, Gattuso e Ancelotti, che a bordo campo si daranno metaforicamente altri di quei ceffoni che avevano contraddistinto anche tante partite della loro avventura al Milan. Un 433 per il primo, un 442 per il secondo. Tante defezioni per Rino, rosa quasi al completo per Carletto. Per il Milan attacco con Suso e Calhanoglu ai lati di Cutrone, con a centrocampo il talento e la freschezza di Paquetà. Per il Napoli l’offesa è delegata a Insigne e Milik, con Mertens, finora evanescente, ancora in panchina. Callejon e Ruiz larghi nel 442, con Malcuit e Ghoulam alle loro spalle. In porta duello tra Meret e Donnarumma, i due giovanissimi “eredi di Buffon”.

Possesso palla e pazienza le doti del Napoli, che dopo un inizio difficile ha registrato la difesa (la terza migliore della A dopo quelle di Juventus e Inter); terza anche per quanto riguarda il miglior reparto offensivo, alle spalle di Atalanta e Juventus. Una squadra solida che a prescindere dai singoli e dai mister rimane forte di un’identità immarcescibile. Per il Milan l’unico modo – a mio vedere – per potersela giocare è quello dell’aggressività: alzare il ritmo del pressing, non lasciar tempo a Zielinski e Hamsik di creare gioco, ad Albiol e Koulibaly di far partire l’azione da dietro. Essere attendisti contro gli azzurri difficilmente paga: si può strappare un pareggino da catenaccio e contropiede, come tra l’altro già successo in questi anni anche al San Paolo, ma se si vuole fare davvero il salto di qualità, anche e soprattutto a livello di mentalità, evitare atteggiamenti da Modena 2002/2003 non è una brutta idea.

Fab

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.