Mundialito – Tra le intuizioni che hanno trasformato Silvio Berlusconi nel Silvio Berlusconi che vediamo oggi c’è quella relativa al calcio come veicolo. Che tu ci metta dentro soldi, voti, conoscenze o messaggi questo sport veicola qualsiasi cosa in tempi rapidissimi e con un’efficacia praticamente senza pari. Così, seduto su un pacco di denaro gigantesco, prova a comprare la seconda squadra di Milano. I benevoli dicono che la scelta dipenda dalla comunanza dei loghi delle due entità, il biscione, mentre i maligni dicono che il tutto sia legato al suo essere interista. Com’è, come non è la leggenda narra che nel corso della trattativa la Signora Fraizzoli, signora della cosiddetta “aristocrazia milanese” e appassionata di grafologia, abbia chiesto al rampante imprenditore della Milano da bere di apporre una firma su un foglio di carta. E l’affare sfuma. Visto che il Milan ha poco appeal dopo le due retrocessioni il gruppo Fininvest decide di agganciare il calcio in un modo diverso e crea il “Mundialito per club” un torneo non ufficiale ad inviti. riservato alle squadre vincitrici della Coppa Intercontinentale. Sede del torneo è Milano perché è una delle quattro città al mondo ad avere due squadre che hanno vinto il prestigioso torneo (insieme a Madrid, Montevideo ed Avellaneda) e perché sede dell’azienda che la organizza. Prima edizione nel 1981, vince l’Inter ma nel Milan appena retrocesso per quarantacinque minuti gioca, ben pagato, un signore olandese con la maglia numero 14: Johann Cruijff. Quella dei signori olandesi ben pagati al mundialito tenetela da parte perché ci torna utile.
Claudio Daniel Borghi – L’edizione ’83 la vince la squadra con la gobba che partecipa pur non avendo vinto la Coppa Intercontinentale, due anni dopo non si gioca e nel 1987 vince il Milan che ha alla sua guida proprio Silvio Berlusconi. Tutto si tiene, come dicono i francesi. Nel 1985 infatti sono le reti Mediaset a trasmettere la finale di Coppa Intercontinentale e proprio nel corso della partita tra Juventus e Argentinos Juniors quello che di lì a pochi mesi sarebbe diventato il proprietario del Milan rimane folgorato da un folletto in maglia rossa che mette in croce i bianconeri. Non lo dice a nessuno ma lo ha virtualmente comprato quella sera. Il trasferimento effettivo avviene solo nel 1987 anno in cui il Milan lo schiera, appena arrivato, nella vittoriosa edizione del Mundialito. Per il campionato dobbiamo aspettare perché, avendo già preso Gullit e Van Basten, i rossoneri prestano il talentuoso argentino al Como in attesa della deliberazione sul terzo straniero nelle rose delle squadre italiane. I più giovani non sanno che i ragazzini malati di calcio come il sottoscritto nel 1987 aspettavano il sabato pomeriggio per vedere dribbling; oggi è una delle infinite trasmissioni che parlano di calcio ma all’epoca, quando di calcio in tv ce n’era proprio poco, una sorta di trasmissione di culto. Ricordo di avere visto un servizio da Milanello in cui, inquadrati da lontano due giocatori del Milan parlavano tra loro. Quello più basso spiega al pennellone come colpire la palla con il destro al volo incrociandolo dietro la gamba sinistra. Borghi che spiega qualcosa a Van Basten è evidentemente un anacoluto calcistico ma all’epoca mi parve un segno della nostra grandezza futura. Avevamo un altro fuoriclasse.
Tutto si tiene – Però, come dicono i francesi, tutto si tiene. Torniamo al mundialito ’87 perché in quella edizione del trofeo gioca con la maglia del Milan, ben pagato, un signore olandese. Difensore, classe 1962, Franklin Edmundo Rijkaard è come l’amico Ruud Gullit uno dei figli del Suriname che crescono per le strade di Amsterdam sognando l’Ajax. A guardarne le evoluzioni in campo c’è Arrigo Sacchi l’uomo che Silvio Berlusconi ha scelto per portare il Milan sul tetto del mondo e lo ha scelto con lo stesso criterio di Borghi, folgorato nel corso di un turno di Coppa Italia in cui il Parma dell’ “Omino di Fusignano” bastona il Milan di Liedholm. Sacchi guarda “Uragano Frankie” e improvvisamente la figura di Claudio Daniel Borghi va in dissolvenza. Certo, la stagione pallida al Como (Claudio farà la panchina a vantaggio di Egidio Notaristefano) darà una mano nella scelta tra i due ma è la fissazione di Arrigo a vincere lo scontro presidente-allenatore. In una cena ad Arcore, ufficialmente mai tenuta ma della quale tutti sanno, i due si accapigliano fino a che Silvio comprende, obtorto collo, le ragioni di Arrigo e rispedisce il “Picasso del calcio” (la definizione è di Michel Platini) al mittente dopo un breve passaggio agli svizzeri del Neuchatel Xamax.
Uragano Frankie – 190 centimetri per 80 chili di classe, visione di gioco e forza fisica. È il giocatore totale, l’arma definitiva del calcio sacchiano. Nella straordinaria Olanda di Rinus Michels è il difensore centrale insieme a Ronnie “Rambo” Koeman (altro centrocampista messo in difesa di Johann Cruijff, sempre perché tutto si tiene…) e domina le partite. Dalle sue parti non si passa mai e l’azione riparte da qualsiasi punto del campo con due centrocampisti in più; è semplicemente illegale. “Se dovessi cominciare a costruire una squadra di calcio partirei da Frank Rijkaard e poi metterei giù tutti gli altri”. Parole e musica, più o meno testuali di Sacchi che giustifica lo scontro con il suo presidente. Per prenderlo il Milan fa carte false. Il ragazzo ha la sinistra tendenza a firmare contratti e non rispettarli come quello che lo lega al Milan per il Mundialito per esempio. Il ragazzo gioca solo due delle tre partite per cui è pagato e poi saluta la compagnia. Dopo un pasticcio contrattuale tra Ajax, Sporting Lisbona e Real Saragozza Galliani e Braida vanno allo stadio dello Sporting e firmano il contratto, quello buono, con il ragazzo; peccato che fuori ci siano i tifosi della squadra portoghese sull’incazzato andante con i loro dirigenti che vendono l’olandese. Braida infila il contratto firmato nelle mutande, Galliani fa una finta di collo mentre augura buon lavoro a tutti e svicolano dalla porta sul retro evitando gente che gli vuole fare la pelle.
Ne è valsa la pena – Sacchi prende Frank e lo mette in mezzo al campo insieme a Carlo Ancelotti davanti a Tassotti, Baresi, Costacurta e Maldini ed alle spalle di Donadoni, Virdis, Van Basten e Gullit. L’effetto è devastante. I due chiudono la squadra in fase difensiva e aiutano i fenomeni davanti a costruire un calcio armonico, veloce e totale. La vita agonistica di Carletto, minata da diversi infortuni si allunga e i due fanno impazzire i centrocampisti di tutto il mondo e crescono Demetrio Abertini fino a farlo diventare il perno del centrocampo rossonera. Nei quindici anni di carriera al Milan… Come? Sono di meno? Ok, rifaccio. Nei dieci anni di carr… Come? Ancora? Nei sette… Nemmeno. Il dato è pazzesco ma Frank al Milan ci sta solo cinque stagioni. Sembra una vita ma è solo un lustro che passa in un battito di ali in mezzo ad un diluvio di trofei. Due scudetti, due supercoppe italiane, due Champions League, Due supercoppe europee e due coppe interontinentali. Poi c’è lo spazio per il “tradimento” consumato tornando all’Ajax e vincendo proprio contro di noi la sua terza coppa dei Campioni ma non sono mai riuscito ad essere arrabbiato con lui e forse non lo sarò mai.
Mister, come va domani? – È il 22 maggio 1990 ed il Milan sta preparandosi alla finale di Coppa dei Campioni del giorno dopo che si terrà al Prater di Vienna. Dopo tre anni vissuti ampiamente oltre il limite dei giri del motore la squadra ed il tecnico sono a pezzi. Fisicamente a pezzi, moralmente a terra e sull’orlo di una crisi di nervi. È la stagione della monetina di Alemao, della seconda fatal Verona partita nella quale Lo Bello figlio (fate voi…) completa il lavoro del padre e ci sfila uno scudetto espellendo Costacurta, Van Basten, Sacchi e proprio Rijkaard, è la stagione della finale di Coppa Italia persa contro la gobbentus con gol di Galia. Ci sono tutti i prodromi per il fallimento epocale e Arrigo lo sa. Tanto è vero che alla domanda del cronista risponde: “Domani ci può salvare solo Frank…”. Ne è valsa la pena. Fuggire con il contratto nelle mutande, litigare con il capo per averlo in squadra a discapito del suo pallino, sopportare qualche mattana di stampo olandese. Ne è valsa la pena soprattutto quando al minuto numero sessantotto Van Basten con l’ultima goccia di energia rimasta estrae dalla borsa dei trucchi una magia e punisce l’unica distrazione di una difesa che fa del catenaccio un poema epico. Marco si stacca dalla linea difensiva, si piazza tra le linee e disegna un Monet di interno destro per Uragano Frankie che sta tagliando verso la porta mentre fedele al suo nomignolo spazza tutto e tutti lanciato come il vento a forza cinque. Per una serie di secondi eterni corre sul campo esprimendo al contempo grazia e potenza, mi alzo in piedi nella sala di casa mia e lo accompagno verso Silvino che esce verso di lui. So che la metterà nell’angolino basso a destra colpendo di esterno destro per rubare un tempo di gioco al portiere senza andargli troppo sotto. Non so perché lo so ma lo so e, quando Uragano calcia la palla, sto già festeggiando. Magnusson, Pacheco e Paneira non ci segnerebbero nemmeno se giocassimo tre partite di fila e quindi festeggio. Coppa Campioni numero quattro, gobbi! La Coppa Italia ve la lascio come mancia…
Facciamo così: se trovate un centrocampista nella storia del calcio che sia stato più forte di Frank Rijkaard mi scrivete e vi offro il caffè. Fatta eccezione, ovviamente, per Claudio Daniel Borghi…
Pier
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