Parlare dei campioni può essere semplice ma allo stesso tempo difficile. Personalmente mi piace molto anche ricordare giocatori dai piedi meno nobili ma che hanno amato l anostra maglia fino al loro ultimo giorno della loro avventura rossonera. Oggi parliamo di un ragazzo dalla chioma bionda che ha fatto parte degli immortali. Squadra del mio cuore. Scopriamo assieme di chi si tratta.
Spesso durante le partite o anche semplicemente leggendo il giornale, sentiamo parlare di “lavoro oscuro” fatto da un calciatore. Una presenza che ai più passa inosservata, ma che nell’economia di una partita e di una squadra conta tantissimo. Quando il nostro pensiero corre ad una grande squadra che ha vinto tanto, ci ricordiamo del giocatore più forte, della giocata ad effetto, del colpo che lascia a bocca aperta noi tifosi. A distanza di anni, delle squadre che hanno fatto la nostra storia ci ricordiamo di Nordhal, Liedholm, Cesare Maldini, Schiaffino, Rivera, Prati, fino a Baresi, Maldini, Donadoni, Van Basten, Gullit, Shevchenko, Nesta e tanti altri. Ma il calcio si gioca in 11, e ogni campione ha sempre avuto bisogno di altri 10 compagni affiatati, di chi compensa la mancanza di mezzi tecnici con un cuore grande enorme, che recupera il pallone e serve la stella, sperando in un numero che vale un trofeo. Questo è il gregario, l’uomo silenzioso che non si nota mai, ma che dà tutto senza chiedere mai niente in cambio. C’è stato un calciatore che meglio di molti altri ha rappresentato questo concetto. È stato soprannominato littorina della Brianza, come il noto treno che compie la tratta da Monza a Molteno. Angelo Colombo nasce in piena Brianza nell’inverno del 1961.
Tre stagioni in rossonero. Tre stagioni molto intense, la stessa intensità che ha sempre messo nelle 115 partite disputate con la maglia rossonera.
Anche se è stato per poco tempo alla corte del diavolo, questo non gli ha impedito di diventare una delle stelle del nostro club, dal momento che è stato un elemento insostituibile di quella che è stata la squadra più forte di tutti i tempi: il Milan di Arrigo Sacchi.
Quella squadra piena di giocatori di grande talento, senza la presenza e l’apporto in campo di Angelo Colombo, non sarebbe mai stato quel team perfetto che per un triennio ha dominato in Europa e nel mondo. I compagni lo adorano perché i suoi polmoni sono sempre a disposizione della squadra per tutti i 90 minuti della partita, i tifosi lo amano e lo ricordano con affetto perché gli riconoscono un impegno ed una dedizione assoluta per la maglia che indossa, onorandola e rispettandola sempre. Colombo non è solo “quantità”; Colombo è un centrocampista che riusciva ad unire le due cose, corsa e qualità tecniche di buonissimo livello, oltre ad essere un centrocampista dalle ottime capacità di inserimento e dalle buone doti realizzative.
Il fatto che fosse un giocatore completo l’ha già fatto vedere prima di arrivare al Milan.
Dopo essere cresciuto nel Monza (prima nelle giovanili e poi in prima squadra dal 1979 al 1984), nella stagione 1984/85 gioca in serie A, ad Avellino, quella stagione lo consacra definitivamente ad alto livello; sotto la guida di Angelillo, Colombo gioca dietro le punte Ramon Diaz, argentino, e Geronimo Barbadillo, peruviano.
In quel ruolo si sente a suo agio e gioca tutte e 30 le partite e realizza ben 6 gol.
Durante quel campionato da lontano inizia ad osservarlo il Direttore Sportivo dell’Udinese, un certo Ariedo Braida, che lo porta in Friuli nell’estate del 1985. Questo incontrò con il direttore friulano è la svolta della sua carriera.
A Udine gioca due stagioni, anche se non riesce a mantenere le aspettative che i dirigenti friulani avevano posto in lui, dopo le belle stagioni giocate in Irpinia.
Ma ormai “l’Angelo biondo” ha fatto l’incontro che gli ha cambiato la sua vita da calciatore.
Infatti, Ariedo Braida, passato nel frattempo al Milan, non fatica a portarlo a Milano per metterlo a disposizione del nuovo allenatore Arrigo Sacchi.
Colombo arriva a Milanello tra l’indifferenza generale, e tutti pensano che possa essere solo un buon rincalzo all’undici titolare.
Infatti l’inizio della sua avventura rossonera non è dei più semplici. Sacchi è un tecnico emergente ed innovativo, molto attento ai particolari e per questo molto esigente con i suoi giocatori.
Uno dei primi giorni del ritiro estivo il tecnico di Fusignano interrompe l’allenamento per urlargli “caro Colombo, fare pressing non significa correre molto, ma significa correre bene”. Queste parole per il centrocampista brianzolo sono la svolta per il suo proseguo in rossonero. In quel giorno di ritiro estivo è nata la littorina della Brianza. Colombo si cuce sulla pelle la maglia numero 4 e non la lascia più.
Per niente scoraggiato da quelle parole, Angelo lavora duramente fino a diventare un giocatore decisivo per le sorti rossonere.
«Per vincere servono undici Colombo e non undici Maradona». (A. Sacchi)
Colombo esordisce nel Milan in Coppa Italia (il 23 agosto 1987 contro il Bari), partita che segna il mio definitivo innamoramento per Van Basten, ma per essere lanciato da titolare dovrà aspettare la terza giornata di campionato.
Il Milan, reduce dalla sconfitta interna contro la Fiorentina, va a Cesena, e Sacchi decide di far giocare Colombo al posto di Bortolazzi.
Il Milan gioca una buona partita ma non va oltre lo 0-0, ma al termine di quella gara il tecnico rossonero stupirà tutti dichiarando “oggi ho capito che il Milan vincerà lo scudetto”.
Alla nona giornata del campionato 1987/1988 contro il “suo” Avellino, segna il gol che sblocca la partita (finì 3-0); alla 16ma giornata segnò il gol decisivo (1-0) che permette al Milan di battere il Pisa.
Ma il gol più importante Colombo lo segna il 3 gennaio 1988 alla 13ma giornata. A Milano arriva il Napoli di Maradona capolista, e la gara si mette male, perché dopo dieci minuti i rossoneri sono sotto di un gol grazie ad un bellissimo gol di Careca imbeccato magistralmente da Maradona.
Ma è proprio Angelo Colombo a diventare protagonista e a segnare con un gran destro il gol del pareggio che dà avvio alla strepitosa rimonta del Milan che travolge i partenopei per 4-1.
Quel giorno, probabilmente, la squadra ha la piena consapevolezza che può veramente vincere lo scudetto.
“Ci sono partite che sai di vincere prima di giocare. Non riesco a dimenticare il silenzio incredibile nel viaggio dall’ albergo allo spogliatoio. Sapevamo che avremmo vinto”. (A. Colombo)
Ma al di là dei gol, l’apporto della nostra littorina alla conquista di quel famoso tricolore è enorme.
Il meccanismo rossonero è praticamente perfetto, e lo diventa ancora di più con l’arrivo di Rijkaard nella stagione seguente. Nella stagione 1988/89 comincia l’epopea “europea” del Milan, e Colombo ne sarà una colonna portante.
Al di là del campionato (30 presenze su 34 e 3 gol), Angelo gioca da titolare tutte e nove le partite che portano il Milan alla conquista della terza Coppa dei Campioni della sua storia.
“La finale di Barcellona contro la Steaua, la prima Coppa Campioni: era l’approdo di due anni di lavoro. Anche in quel caso si sapeva già chi avrebbe vinto, eravamo tutti sulla stessa frequenza. Eravamo la squadra più forte del mondo? In quel momento non ce ne accorgevamo.” (A. Colombo)
Quello della finale contro lo Steaua a Barcellona, è ricordato da Colombo come “il momento più bello della mia esperienza in rossonero”.
Ma la corsa di Colombo non si ferma mai. La stagione successiva (1989/90) è quella del bis in Coppa dei Campioni.
Ancora una volta per “la littorina” è un percorso completo: presente in tutte le partite di quella edizione di Coppa dei Campioni, e disputa proprio in finale contro il Benfica a Vienna la sua ultima partita con la maglia del Milan.
E’ il 23 maggio 1990, e con la Coppa tra le mani Angelo Colombo saluta per sempre (da calciatore) il Milan.
Oltre ai trofei ricordati in precedenza, il palmares con la maglia rossonera sarà arricchito da una Supercoppa Italiana, una Supercoppa Europea ed una Coppa Intercontinentale.
Nell’estate del 1990, a 29 anni, lascia il Milan e va al Bari di Salvemini per sostituire un altro Angelo, Carbone, che nel frattempo prendeva il suo posto al Milan (con fortune un po’ diverse).
Questa è la storia rossonera di Colombo, quello che arriva al Milan con i gradi di gregario e lo lascia da Campione d’Europa, un ragazzo che dell’essere scudiero fidato dei grandi campioni in un‘autentica arte. E tanti trionfi di quegli anni sono nati anche per la sua abnegazione e voglia di sacrificio messa a disposizione dei grandi campioni. Alla fine lui fa parte della squadra più forte del secolo.
FVCRN
Harlock
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