A volte, nel calcio, basta un gol o una grande giocata per far sì che la propria carriera possa avere una svolta in senso positivo ma a volte, anche in negativo. Un giocatore che ha sempre fatto gol e anche tanti è sicuramente Jon Dahl Tomasson, giocatore danese che si è tolto tante soddisfazioni, più con i club che con la Nazionale: sono 288 in totale le reti realizzate nella sua lunga carriera agonistica. Una vera e propria macchina costruita per segnare con classe, disinvoltura e tecnica. Il treno della fama, però, passa una volta sola e Tomasson non è mai riuscito a salirci del tutto. A differenza di altri, però, lo Scorpione Bianco, questo è il suo soprannome in rossonero, non ha colpe particolari: il gol del Destino lo ha anche segnato la sera del 23 aprile 2003. Il problema è che, nessuno se ne ricorda.
Tomasson viene acquistato, nel silenzio più totale dal Milan nella stagione 2002-2003. A 26 anni e col contratto scaduto, Jon è incredibilmente libero a parametro zero, così il Milan, non si lascia scappare l’occasione e propone un contratto al giocatore danese, che lo firma senza pensarci su una volta di troppo. Certo, in quel momento in attacco i rossoneri potevano contare su Shevchenko, Inzaghi, Rui Costa e Rivaldo, ma chi non accetterebbe la sfida di crearsi un varco in mezzo a questi totem, cercando di dare il proprio contributo e facendosi valere? Milano è la nuova Mecca per Tomasson.
Il giocatore danese ha già segnato valanghe di gol in Olanda con le maglie dell’Heerenveen e Feyenoord, con la squadra di Rotterdam vince anche la coppa Uefa segnando un gol in finale. In quel periodo Superpippo è spesso fuori per svariati acciacchi fisici. Così per Tomasson si aprono le porte della titolarità molto più del previsto. Arrivato in punta di piedi, inizia a conquistare i tifosi ed Ancelotti con la sua grande professionalità e il suo silenzio. Ma sembra avere in area di rigore quel qualcosa che gli consente di affermarsi in breve tempo come mina vagante della Serie A. Tomasson non parte quasi mai titolare, ma entra spesso a partita in corso e lascia sempre un bel ricordo di sé. Si muove bene, partecipa alla manovra, si rende pericoloso, agisce indifferentemente da prima o da seconda punta, integrandosi alla perfezione sia con Pippo Inzaghi che con Sheva. È l’attaccante di scorta che ogni allenatore sogna: sempre pronto al bisogno, gioca dove gli dici di giocare, segna gol determinanti e non alimenta mai il fuoco della polemica all’interno dello spogliatoio. Con le dovute proporzioni, un nuovo Daniele Massaro a disposizione dei colori rossoneri. Non impiega molto tempo a siglare il suo primo gol in campionato: alla sesta giornata, in trasferta contro l’Atalanta realizza il secondo gol dei quattro con cui il Milan vince a Bergamo. La domenica successiva va di nuovo a bersaglio, ancora in trasferta, a Verona contro il Chievo. Questa volta però i rossoneri soccombono per 3-2. Anche in Coppa Italia le sua vena realizzativa non passa inosservata: va a segno contro ogni avversario affrontato dagli ottavi di finale fino alla semifinale, ovvero contro Ancona, Chievo e Perugia, anche grazie al fatto che Carlo Ancelotti, lo schiera titolare, in questa competizione. Persino in Champions League, dove ha davvero poche opportunità di calcare il terreno di gioco, riesce a dire la sua. C’è da dire che il Milan viene inserito sia nel primo turno, che nel secondo turno in gironi di ferro. Nella prima fase a gironi viene opposto a Lens, Deportivo La Coruna e Bayern, mentre nella seconda fase incontra Real Madrid, Borussia Dortmund e Lokomotiv Mosca. Il Milan supera entrambi i gironi eliminatori e ai quarti di finale dall’urna di Nyon esce l’Ajax.
Ed è questala partita che probabilmente, il danese non dimenticherà mai e onestamente nemmeno noi: la sera del 23 aprile 2003 si gioca la gara di ritorno dei Quarti di Finale della Champions League. Il Milan gioca contro l’ostico Ajax dei giovani talenti Snejider, Van Der Meyde, Chivu, Pieenar e di un lungagnone svedese di origine slava, un certo Zlatan Ibrahimovic. La partita di andata all’Amsterdam Arena termina a reti bianche, la sfida di San Siro è decisiva per le sorti europee dei due club. Parliamo, ovviamente, di un Milan molto diverso da quello attuale: una squadra piena di campioni e fuoriclasse dalla testa ai piedi. Nonostante le qualità superiori, però, i rossoneri faticano molto contro i giovani lancieri rampanti: al gol di Inzaghi risponde Litmanen, a Shevchenko replica Pienaar. 2-2 che semina il panico a San Siro e che qualifica gli olandesi e nello stadio milanese inizia a serpeggiare lo spettro di una eliminazione al quanto imprevista. Ancelotti prova il tutto per tutto e all’83 minuto fa entrare Tomasson al posto di Dario Simic. Il tempo scorre, l’ansia tra i giocatori e i tifosi inizia a crescere ma al minuto 91′ il calcio decide di cambiare per sempre la vita del ragazzo danese. Ma non come ci si aspetta.
Maldini crossa in area, Ambrosini fa da sponda e sorprende la difesa dell’Ajax. La palla termina ad Inzaghi, che supera Lobont con un pallonetto. Tomasson è lì, al posto giusto nel momento giusto, e la mette dentro accompagnando il pallone con dolcezza e gentilezza: è il 3-2 del Milan e San Siro esplode in un boato liberatorio che solo il magico stadio milanese sa regalare. Ma tutti, dal primo all’ultimo, corrono ad abbracciare Inzaghi. Persino Sandro Piccinini, durante la telecronaca del match, darà con la forza del cuore e della passione il gol a SuperPippo. Sul tabellino, però, è impresso il nome di Tomasson. Un nome di cui nessuno si ricorda, perché nell’immaginario collettivo quel gol al 91′ che decise i Quarti di Finale e che risulta, a conti fatti, decisivo per la conquista della sesta Champions League rossonera è di Inzaghi.
Il sogno e la gloria svaniscono per sempre, come un aquilone scivolato da una presa per via di una distrazione esterna. Quel nome sui referti e sul tabellone di San Siro pare quasi un fantasma, qualcosa di invisibile. Il nuovo re è immediatamente dimenticato. Al Milan il giocatore danese rimane tre stagioni sempre nel ruolo di attaccante di scorta continuando a segnare con regolarità . È protagonista anche nella finale di Coppa Intercontinentale contro il Boca Juniors segnando il gol del vantaggio rossonero, anche se la coppa prenderà la via del Sud America perché gli argentini vincono la partita ai calci di rigore. La stagione 2004/2005 è sicuramente quella meno soddisfacente, perché l’arrivo di Crespo riduce ulteriormente gli spazi e la disgraziata finale di Istanbul è la sua ultima apparizione in maglia rossonera, segna anche uno dei rigori ma purtroppo non riuscirà ad alzare la coppa dalle grandi orecchie.
“È stato fantastico giocare per il Milan e ho amato vivere in Italia. Il Milan era la squadra più forte al mondo, con uno spirito unico. Nonostante ci fossero i più grandi giocatori al mondo eravamo un grande gruppo. Tutti remavano nella stessa direzione per vincere Scudetto, Champions League e Coppa Italia. Lo spirito di quel Milan me lo sono portato dentro anche per il mio lavoro di allenatore ed è una cosa che cerco di insegnare ai miei giocatori. Uno spirito che può muovere le montagne.” (J. Tomasson)
Così dopo la finale contro il Liverpool chiude la sua storia d’amore con i colori rossoneri con 114 presenze e 35 gol segnati senza mai fare polemica, senza mai alzare la voce ma rispettando sempre le sacre regole del gruppo. Senza clamore accetta la proposta dello Stoccarda e in punta di piedi come è arrivato, saluta il mondo rossonero.
La fortuna è cieca, e purtroppo dimostra anche di avere un pessimo senso dell’umorismo. E così il bomber danese, pur segnando una delle reti più importanti della storia recente del Milan, non vedrà mai riconosciuti i suoi meriti. Un gol clamorosamente passato agli archivi ed ingiustamente dimenticato dalla maggior parte degli appassionati. Una punizione estremamente severa per chi, come Tomasson, aveva trovato la svolta della carriera. Un’ingiustizia, forse si. Ma anche questo, in fondo, è il calcio: un momento rubato, una questione di attenzioni, delle porte girevoli che possono cambiare tutto in un attimo. Certi treni non passano più, anche quando li meriti. E chissà per quanto tempo Tomasson ha continuato ad aspettare, invano, un’altra grande chance per continuare a scrivere la storia. Solo, forse, un po’ meno inconsapevolmente. Ci piace pensare che quel tabellone, a San Siro, stia ancora lì tutto illuminato ad esigere rispetto e gridare vendetta con il nome Tomasson ben impresso a caratteri cubitali accompagnato da quell’urlo di gioia che solo San Siro sa regalare in queste occasioni, perché le sue vibrazioni non si vivono da nessun’altra parte.
FVCRN
Harlock
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