Cosa chiedo al 2018

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Anno nuovo, tempo di promesse, bilanci, sguardi all’indietro per analizzare i 365 giorni appena trascorsi. Anno nuovo, tempo di speranza, della convinzione che davanti a noi abbiamo 365 possibilità di cambiare (in meglio), di arricchirci, di ottenere ciò che sogniamo. Non basta però una cifra diversa alla fine di un numero per farci delle persone migliori, il nostro impegno nel fare un salto in avanti deve essere reale, sincero, pena vedere tutti i nostri sogni sfumati. Anche nel calcio esistono i sogni, le richieste e le promesse che vengono fatte al termine di un anno e al principio di un altro. Queste sono le mie.

Al 2018 chiedo di non sentire (e di avere la forza di non pronunciare) il nome di Berlusconi e Galliani. La storia ha fatto il suo corso, la dirigenza è cambiata dopo 31 anni, ora ci sono nuove figure al vertice del nostro Milan. È stucchevole, dopo mesi e mesi, continuare a fare paragoni con la situazione precedente, tanto da parte di chi vuole difendere l’operato dei nuovi, quanto da parte delle vedovelle dei due sopra citati. Affranchiamoci dal nostro passato – per quanto complessivamente e innegabilmente grande e vincente, pur non nell’ultimo decennio -: solo così potremo cominciare a scrivere il nostro futuro.

Al 2018 chiedo di vedere una squadra senza paura. Prima ancora di grandi giocatori con capacità tecniche invidiabili, al Milan serve qualcuno che non abbia paura di sbagliare, che non abbia paura di rischiare. La squadra è fragile anche perché tutti i giocatori, dal primo all’ultimo, hanno il timore di commettere errori. Non deve essere così: il rischio è qualcosa di essenziale per raggiungere i nostri obiettivi, essere coscienti della sua esistenza e affrontarlo a viso aperto, ma con intelligenza, è la definizione stessa di “sfida”. Essere conservativi e non rischiare per paura di sbagliare è il primo modo per rimanere nell’anonimato, per essere mediocri, insipidi, senza una nota di interesse.

Al 2018 chiedo almeno un paio di grandi vittorie contro le nostre rivali storiche. Bando all’ipocrisia, non tutte le partite sono uguali e non tutti i 3 punti hanno lo stesso valore. È magnifico battere le grandi squadre con cui, nel tempo, ci siamo contesi trofei su trofei. La vittoria del Derby del 27 dicembre scorso mi ha ricordato quanto sia bello sfottere i propri familiari e colleghi, quanto molto semplicemente ci faccia bene vincere contro i nostri cugini. Lo stesso vale naturalmente per la Juve, e per questo voglio vivere altre grandi soddisfazioni.

Infine, al 2018 chiedo che il Milan si faccia sempre più rispettare. A prescindere dai risultati ottenuti in campo e a prescindere che lo si faccia dentro o fuori il terreno di gioco, il Milan deve alzare sempre di più la voce, in ogni sede, a ogni latitudine e longitudine. Perché il Milan non è l’11a squadra classificata in Serie A, il Milan è la squadra vincitrice di 7 Coppe dei Campioni, 18 Scudetti e una marea di altri trofei. Il nostro blasone è riconosciuto in tutto il mondo da quasi 120 anni, ed è sinonimo di vittoria e grandezza. Il Milan deve ricordare ciò agli amministratoruncoli di quartiere, agli scribacchini, ai pavidi ospiti televisivi, tutti personaggi, chi più, chi meno, che speculano sulla pelle della nostra squadra. Il Milan deve ricordare loro che tutti passano, il Milan resta. E resta perché ha alle proprie spalle una storia, 119 anni di grandezza difficilmente eguagliabile, certamente ineguagliata in Italia. Non avere rispetto per una storia simile è lecito, ci mancherebbe, ma devono tutti avere la coscienza che chiunque viene cancellato dal trascorrere del tempo, il Milan no. Sopravvive e  prospera, nemmeno lontanamente scalfito da tanta piccolezza.

E voi, cosa chiedete al 2018? (Non vale rispondere “il 6 al superenalotto”).

Fabio

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.