La stretta attualità l’ha spiegata con parole da scolpire nella pietra Larry non più tardi di qualche giorno fa. Hai voglia a prendersela con l’Uefa, rea di aver usato e usare ancora due pesi e due misure, debole con i forti (o per meglio dire coi ricchi, quelli veri) e forte con i deboli (o gli sconosciuti, per meglio dire). Sconosciuti come Yonghong Li, come il piano sul medio-lungo termine della nuova proprietà, delle reali ambizioni e possibilità di chi ha preso in mano la società. Un anno fa avevamo chiesto fatti, entusiasti di un cambio da cui avevamo tutto da guadagnare. Non è stato così, perché se da un lato i soldi sono stati spesi (fatto) e c’è stata più cura e rispetto verso una comunicazione che nel recente passato aveva come unico indirizzo quello di minimizzare i problemi, dall’altro la classifica non ha visto grossi progressi, e la stessa gestione del rapporto tra base e vertice della società si è limitata alla rottura rispetto al passato, con progressi che hanno lasciato sul campo verità forse troppo scomode da rivelare.
La principale è che nessuno conosce alla perfezione Yonghong Li o chi è alle sue spalle. In un paese in cui si fanno giustamente le pulci a chi avrà il controllo della politica nazionale, il giornalismo di settore (quello rossonero) è stato forse troppo prono davanti a chi si è presentato in maniera tanto scintillante. C’è da capirlo: il ruolo del giornalista tifoso è maledettamente difficile proprio per la necessaria mediazione da operare tra ricerca della verità e voglia di sognare, a prescindere dall’identità e dagli affari di chi alimenterà quei sogni. A un certo punto, però, la verità bussa alla propria porta, demandando un conto salato che stiamo pagando in questi giorni, pagheremo quest’estate e forse saremo giocoforza costretti a onorare anche nella prossima stagione.
È vero, l’Uefa ha probabilmente esagerato nella gestione dell’affare Milan, ma è anche vero che un SA non può essere vidimato senza prima sapere chi sia il contraente dell’impegno richiesto, a prescindere dal soggetto terzo (Elliott) che fornisce le garanzie. È un procedimento basilare che funziona per noi pincopalli nella vita di tutti i giorni (con le dovute differenze rispetto al caso specifico), lo stesso vale per il buon Li. Come uscirne?
Chi scrive crede tuttora che la presenza di Elliott sia una sorta di garanzia per le nostre sorti e che in qualche modo il riappianamento con l’Uefa ci sarà, pur con una qualche sanzione da subire, ma come si fa durante il calciomercato quando si costruisce una nuova rosa, anche in società si dovranno tagliare i rami secchi, che a oggi hanno gli occhi a mandorla. Sono discorsi da bar, sia chiaro, disquisizioni da tifosi e non da esperti del settore, ma la nostra miglior possibilità sembra ancora essere quella che punta agli States, con il fondo d’investimento Elliott pronto a subentrare nel pieno possesso della società. Sulla scorta di quanto accaduto con la Roma e Unicredit, questo sortirebbe due risultati. Il primo ricucire i rapporti con l’Europa calcistica, che avrebbe un interlocutore più affidabile e inequivocabilmente solido; il secondo quello di avere nel medio periodo un nuovo acquirente, con una riconoscibilità e un’autorevolezza più spendibile di quella di Yonghong Li.
Nel frattempo, ciò che possiamo fare noi, come “azionisti morali” (e non solo) della società è una cosa: rimanere coi piedi per terra. In questi giorni cade il decennale dalla nascita di questo spazio di discussione, di questo punto di riferimento del tifo rossonero. In questi anni non abbiamo fatto sconti a nessuno, a prescindere dai rapporti di stima e fiducia o – al contrario – disprezzo e diffidenza. Continueremo a farlo. Intanto, il tempo delle spiegazioni è finito, e la speranza viene da New York City. Parafrasando il Sole 24 Ore dei “giorni dello spread del 2011”, FATE PRESTO.
Fabio
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