Quella sera ad Istanbul

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Sono passati quindici anni da quella sera incredibile di Istanbul, una serata assurda e per certi versi impossibile da rivivere. Guardandola ancora oggi con occhi diversi, quella che mi sembrò una tragedia sportiva senza precedenti è invece da considerarsi qualcosa di molto meno grave rispetto al nulla e alla pochezza che stiamo vivendo da un decennio a questa parte. Oggi, guardando questo (pseudo)Milan e questa società fantoccio da repubblica delle banane, mi sento di dire che vivrei senza nessun problema altre dieci, cento, mille Istanbul piuttosto che ancora un solo minuto di questa indigeribile salsa brianzo-cino-americana.

Memori delle finali vittoriose degli anni precedenti, “Le Facce da Pirlo” decisero di presenziare anche ad Istanbul con il loro stendardo e il loro solito sostegno ai colori. Manchester e Montecarlo nel 2003 avevano portato bene ma i costi di una trasferta scomoda e più lunga non furono sostenibili da tutti, pertanto partimmo a ranghi motlo ridotti. Avventura incredibile visto che lo stadio era aldilà del Bosforo, nella parte asiatica di Istanbul, nel nulla vero e proprio. Dopo aver trascorso la giornata tra Moschea Blu e birre, avviandoci vero l’Ataturk ci rendemmo conto delle condizioni nelle quali versava una parte del popolo turco, appena fuori dal centro abitato, baracche e povertà erano visibili a tutti. Decine di cani randagi, anche in aeroporto. Condizioni che erano in aperta distonia con la tecnologia moderna dello stadio che, nonostante fosse veramente sperduto, era avanti già di dieci anni rispetto ad un qualsiasi Cessum italiano.

I percorsi per noi tifosi del Milan erano diversi rispetto agli inglesi, per evitare ogni contatto. Solito provvedimento senza senso della UEFA, visto che per tutto il giorno, maglie rossonere e rosse, si potevano incontrare in ogni angolo della città. Inoltre, loro erano molti più di noi, come sempre del resto con gli inglesi, quindi se ci fossero stati degli scontri, sarebbero stati un delirio da gestire. Arrivati allo stadio ci troviamo nella parte destra della Fossa dei Leoni, luogo che ci ha visti crescere in tempi dove la vita della curva aveva un senso, mettiamo il nostro stendardo in transenna dove si trova un buco disponibile e ci prepariamo. La nostra curva è già quasi tutta piena e pronta per la consueta coreografia. Di fronte a noi, gli inglesi. Tanti, rossi, che cantano continuamente, già pieni di birra da far schifo. Poco distante da noi trova posto a sedere Fernanda Lessa, accolta da cori e commenti degni della recita di fine anno all’asilo del piccolo George di Cambridge. Mio commento sulla Lessa: esageratamente figa. Fin qui tutto bene. Da lì a poco inizia tutto e da lì la storia si conosce, sia nel bene che nel male. Posso solo dirvi che per me rimarrà il primo tempo più devastante in una finale del Milan, al pari di Atene 1994 e più di Barcellona 1989 (la Steaua non avrebbe potuto reggere nemmeno in 15 quel Milan). Si gioca divinamente, 4 gol (uno annullato ingiustamente a Shevchenko), gol del capitano Maldini sotto la Sud, un Crespo con l’argento vivo, Kakà che disegna calcio, loro inesistenti e ammutoliti, non si sente volare una mosca di fronte a noi. In campo sono dei fantasmi, frastornati. Poi…poi vi dò la mia interpretazione, ovviamente opinabile, ma posso dirvi che chi non era lì non può capire cosa è realmente successo, anche perchè anche noi che c’eravamo, dopo quindici anni non abbiamo capito cosa stesse succedendo.

Per capire a fondo i sei minuti di Istanbul (attenzione! non il secondo tempo), per me, bisogna fare qualche passo indietro. Qualcuno potrebbe e vorrebbe partire da La Coruna nel 2004, ma quello fu un caso diverso nel quale anche gli stessi giocatori in campo capirono che c’era qualcosa che non quadrava. Io preferisco partire da una ventina di giorni prima della finale, il 4 maggio, il ritorno della semifinale contro il PSV. Lì c’era stato un avviso, ahimè non il primo nè l’unico della stagione, ma poi li vedremo. Ad Eindhoven arriviamo dopo cinque partite ad eliminazione diretta nel quale avevamo subito, zero gol. Zero. Però questo non era legato ad una bassa sofferenza, ma anzi, in alcuni casi gli avversari ci graziarono. Contro il PSV la squadra entra in campo dall’inizio con un piglio sbagliato e con una chiara intenzione, gestire il 2-0 dell’andata. La scelta di Seedorf e Kakà dietro a Shevchenko è il chiaro messaggio alla squadra. L’inizio (prevedibile) degli olandesi è deflagrante e se si rimane sul 1-0 per loro fino al 65’ è un miracolo, visto che arrivano da tutte le parti. Questo perchè impostata la partita in una maniera poi è stato difficile raddrizzarne il corso. Ci salviamo al 91’, ad un passo dai supplementari, ma nonostante tutto, quando non ci sei con la testa, non riesci a fare nulla. Prendiamo un terzo gol senza senso, completamente fuori dal contesto mentalmente. Insomma lì ad Eindhoven qualcosa lasciava presagire che i black-out potevano essere pericolosi, anche se in quel caso io ci metto l’aggravante dell’impostazione di gara troppo “contenitiva”.

Come detto prima, però, nel 2004/05 Eindhoven non fu l’unico momento di sbandamento di una squadra fortissima. Durante il campionato i black out si verificarono più di una volta. Alcuni esempi? Milan-Messina 1-2, in vantaggio al 54’ e rimontati in nel giro di 5 minuti. Milan-Siena 2-1, in vantaggio e rimontati dopo pochi minuti e poi ci salva Sheva. Milan-Lazio 2-1, in vantaggio e rimontati ancora, ci salva Crespo al 94’. Atalanta-Milan 1-2, in vantaggio e rimontati dopo un minuto, ci salva Pirlo al 94’. Infine, Siena-Milan 2-1, in vantaggio con Crespo e poi rimontati in meno di 15 minuti. Potremmo mettere anche i quarti di finale di Coppa Italia dove andammo ad Udine forti del 3-2 a favore dell’andata e in un’ora loro ci fecero a pezzi, chiudendo 4-1. Come avrete notato, ho messo esempi nei quali si è quasi sempre vinto, dopo aver subito una rimonta. Questo, per me, è un dato da non sottovalutare. Quella squadra era molto ben a conoscenza della propria forza. Aveva una personalità strabordante e non escludo che avendola sfangata più di una volta, inconsciamente, nella testa di quei campioni c’era la “supponenza” di potercela fare sempre e comunque, proprio grazie alle loro capacità tecniche.

Gol divino

Partendo da questa riflessione personale, arriviamo ad Istanbul. Parto con il dire che i sei minuti contro il Liverpool non sono assimilabili a quanto successo durante la stagione. Quello scritto in precedenza aiuta ma non vale pienamente in questo caso. Prima cosa, non è vero che negli spogliatoi ci fossero grida di gioia e di giubilo. Anche in curva non c’era assolutamente questa sensazione, a parte qualche opinionista dai giusti toni che si lasciava andare in nefaste previsioni. Una persona che era lì nel cuore dello stadio (non calciatore) mi ha sempre confermato che, anzi, il pensiero espresso da tutti era “facciamo il quarto e chiudiamola”, insieme al “occhio che partiranno forte”. Quindi non c’era sottovalutazione e la prova è l’inizio del secondo tempo nel quale il Liverpool è ancora in balia dei nostri attacchi. L’intenzione di chiuderla era evidente, Cafù che spaventa Dudek subito all’inzio del tempo e Shevchenko che tira un missile su punizione prima del 54’ e del gol di Gerrard. Seconda cosa, la partita non gira lì. Tutti coloro che erano lì non percepiscono ancora il pericolo ma perchè viene percepito come un fuoco di paglia, loro non si erano affacciati mai nella nostra metà campo. Il gol è più un errore di Dida che un gesto atletico dell’inglese. Gli stessi inglesi esultano, ma non sono così carichi. Questo sarebbe stato il momento giusto per pensare ad Eindhoven, Messina, Siena ma nessuno ha la testa ad un pensiero del genere. Terza cosa, è il gol di Smicer che cambia tutto. In quel momento, è una mia sensazione che porto ancora addosso oggi, sento un vento gelido in faccia insieme al grido dei tifosi del Liverpool. È un’onda. Forte, tagliente che arriva e che capisci non puoi più contenere. Loro (ri)prendono vita, quel vento, accompagnato dai loro cori, ci fanno capire quanto siamo pochi e quanto può tracollare tutto. C’era tempo per fare qualcosa? Non credo. Potevi provare a buttarla in tribuna e prendere respiro? Loro entrano in una trance agonistica che li avrebbe fatti correre 100Km in scatto. Fare un cambio avrebbe cambiato il corso? L’unico che poteva entrare in quella situazione per “gestire” il pallone era Rui Costa ma dovevi rinunciare a Crespo o a Shevchenko, o peggio ancora a Kakà, ergo non c’era il tempo per ragionare (occhio anche al pensiero di chi è in panchina che va ad Eindhoven e all’intenzione di “gestire”). Il gol di Alonso su respinta da rigore parato è la ciliegina. Da lì tutto il resto è noia, direbbe Califano. Però va ricordato che loro non tirano più in porta, non si vedono più nella nostra metà campo e che Dudek diventa un supereroe. I rigori, ormai, sono solo un tentativo del destino di farci pensare che ci sia ancora speranza ma in realtà il film è già finito da un pezzo.

È andata così. Ho visto la Lessa e ho visto per la prima di altre tre volte Istanbul. Rimane il ricordo di una partita unica nel suo genere e che si potrà rivedere ogni morte di Papa. A proposito proprio in quell’anno morì Papa Giovanni Paolo II. Forse i segnali erano tanti e nessuno li ha voluti considerare. Non scrivo la solita frase su Istanbul ed Atene perchè è un messaggio filo bianconero post Mondiale 2006 e che non dovremmo copiare dallo scommettitore con i guantoni che di finali perse ha una bella esperienza. Chiudo con un vigoroso FORZA MILAN che mi aiuta a superare l’apatia di questi ultimi anni rossoneri.

Johnson

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"...In questo momento l'arbitro dà il segnale di chiusura dell'incontro, vi lasciamo immaginare fra la gioia dei giocatori della formazione rossonera che si stanno abbracciando..." la voce di Enrico Ameri chiude la radiocronaca dal San Paolo di Napoli. Napoli-Milan 2-3, 1 maggio 1988. Per me, il lungo viaggio è cominciato da lì, sempre e solo con il Milan nel cuore.