È tempo di consuntivi. La stagione del Milan si è conclusa in modo mediocre, fedele specchio della nostra proprietà/dirigenza. Nessun successo, questo nello sport si può accettare, e nessuna emozione, questo nello sport NON si può accettare. Eppure, anche questo aspetto fa parte della strategia che Cardinale e RedBird, con la supervisione sempre attenta di Elliott, ha deciso di introdurre nel nostro mondo.
Ciò che ferisce di più non sono i buchi a centrocampo, le mancate coperture preventive, gli schiaffi in Italia e in Europa. Ciò che ferisce di più è un sentimento latente e profondo, un peso sullo stomaco che settimana dopo settimana, mese dopo mese si sta palesando addosso a coloro che al Milan ci tengono davvero. Non alla nostra dirigenza, forse nemmeno ai ragazzi o all’allenatore (in fin dei conti sono professionisti, quasi tutti stranieri e senza senso di appartenenza).
A noi.
Perché una stagione priva di emozioni va benissimo a loro? Perché fa parte di una precisa strategia, un percorso di privazione emozionale molto chiaro e sempre più marcato.
Partiamo dal presupposto fondamentale. Ogni volta che Gerry Cardinale parla oltre Oceano lo fa sottolineando l’importanza di alcuni concetti finanziari che non presuppongono l’ottenimento di risultati sportivi. Al contrario, questi sono visti come accidentali, a volte forieri di disgrazia dal punto di vista del “cash-flow”. Ambizione fa rima con investimenti, incremento di spesa, risposta alle esigenze della platea.
Tutto questo non sembra rientrare nei piani di Cardinale.
È necessario ritornare indietro e osservare il comportamento che mira all’anestetizzare il popolo rossonero. Prima la delicata e affannosa ricerca di un compromesso con Paolo Maldini per evitare di separarsi da un manager ingombrante a pochi giorni dalla conquista di uno stupendo scudetto. La trattativa estiva è apparsa subito come un tentativo di rabberciare un rapporto mai nato.
Paolo Maldini ha sbagliato molto ma ha anche vinto. Ha spesso anteposto il proprio ego e il proprio orgoglio ma avendo sempre ben chiaro che questa sua posizione non doveva in alcun modo intaccare le ambizioni del Milan. Al contrario, ha ripetuto nel momento chiave (quando sentiva aria di cacciata) come fosse il momento di investire, come fosse necessario completare il percorso di crescita tenendo ferma la base (Campione d’Italia) e inserendo giocatori capaci di alzare il livello.
La campagna estiva post-scudetto è stata deludente, nessuno lo mette in dubbio. Il problema è che alla base di quel progetto c’era la voglia di portare il Milan a competere, di proseguire lungo un percorso e soprattutto di creare un progetto, cosa fondamentale e che quest’anno ha consegnato lo scudetto all’Inter.
C’era “milanismo” inteso come conoscenza di cosa voglia dire il Milan, di cosa rappresenti (rappresentasse?) agli occhi di milioni di persone dare tutto per il rosso e il nero.
Il licenziamento di Paolo Maldini e la successiva cessione di Sandro Tonali (al netto delle sfortune del ragazzo) sono stati i momenti decisivi nei quali si è scelto di estirpare ogni forma di milanismo. È stato il passaggio fondamentale, il chiaro messaggio di come la gestione societaria dovesse diventare neutra e asettica.
Non ci sono competenze in questa dirigenza in ambito sportivo. Tutto viene deciso in modo freddo e razionale, il condimento è la presunzione. Ecco perché il modello che Cardinale vorrebbe introdurre non ha bisogno di figure ma solo di figurine (pronto? Ibra?).
Il tanto pubblicizzato “moneyball” altro non è che la desertificazione delle emozioni e delle ambizioni, un freddo raziocinio votato solo ed esclusivamente al bilancio.
Non devono esserci interferenze, non deve esserci identità, non si deve permettere che il tifoso viva nell’illusione di una vittoria. Il martellamento continuo con cui si veicolano messaggi sociali, l’estenuante ricerca di visibilità attraverso tutto tranne i risultati sportivi sono a testimonianza della mia tesi.
In questo contesto, dove i dirigenti sono meri esecutori di un principio aziendale, è necessaria la figura di un capro espiatorio. È fondamentale, perché in caso di fallimento deve esserci un responsabile che non sia la dirigenza.
La collegialità tanto sbandierata, motivo addotto da Scaroni per giustificare il licenziamento di Paolo Maldini, è funzionale solo alla struttura, alla promozione di un modello di business che non contempla in alcun modo il sentimento.
Lo svuotamento delle emozioni è stato il male più grande nella stagione del Milan. La loro debolezza si è manifestata più e più volte soprattutto negli ultimi mesi, quando una serie di vittorie ha permesso di far scoppiare la campagna pro Pioli pur sapendo che moltissimi tifosi non lo vogliono più.
Purtroppo, persino John Wayne qualche volta si è dovuto arrendere agli indiani. Allo stesso modo i nostri dirigenti si sono scontrati con l’aspetto meno tenuto in considerazione: il fattore umano.
Una squadra abbandonata, senza figure di collegamento, senza supporto al pari dell’allenatore si è squagliata ai primi grandi ostacoli. Si è sciolta di fronte ad avversari alla pari (Roma) ed ha completato il suo disfacimento contro l’Inter, raccogliendo l’ennesima umiliazione senza che qualcuno si assumesse le responsabilità di questo fallimento.
Un “team integrato” confermato nonostante il tracollo chiarisce il tema. Ad oggi, nessun dirigente sembra in discussione. Ad oggi l’unica operazione è stata quella di mettere un altro mestierante a tirare le fila del “team”, a riprova che non esiste il “team” e nemmeno la “collegialità”.
Esiste soltanto la fredda esecuzione di un piano diabolico (in fondo siamo I Diavoli) che non sappiamo dove ci porterà.
Difficile immaginare vittorie e successi, può darsi che attraverso una fortunata combinazione di fatto si possa anche portare a casa qualche successo ma sarà estemporaneo, fastidioso per loro, non necessario.
FORZA MILAN
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