È passata già una settimana, ma l’eco fa fatica a dissolversi perché l’impresa sportiva dei nostri ragazzi è qualcosa di enorme. Personalmente ho vissuto 10 scudetti, anche se onestamente del tricolore del ’79 non ho ricordi vivi e quindi diciamo che ne sento miei gli altri nove. Quindi, con il prossimo, che potrebbe regalare la seconda stella al Milan ci sarebbe anche la mia personale stella. In ogni caso, il primo è sempre il primo e il mio (quello del 1988) lo è anche per tanti motivi: quella squadra era stratosferica, ha segnato oltre che la mia adolescenza anche la storia del calcio, perciò quello appena vinto lo colloco al secondo posto nella mia personale classifica.
Uno scudetto incredibile, vinto contro tutto e tutti.
Sicuramente questa è la vittoria di Maldini, che ha portato nel Milan attuale i valori del Milan del passato di cui lui è stato grande protagonista. Ha rifiutato di far parte di un sistema “malato”, ancorato al modo di operare degli anni ’90, ha rifiutato di scendere a patti con procuratori avidi e assettati di denaro. Ha sempre detto che il Milan di Berlusconi non esiste più, perché allora arrivavano i campioni a suon di lire o euro, mentre ora è diverso e bisogna avere idee e concezione europea nel gestire una società. A partire da quella estate del 2019 lui ha pianificato, ricostruito e sostenuto questo Milan; ha riportato dentro Casa Milan e Milanello il senso e il peso della nostra storia e non ha costruito una squadra per vincere subito, bensì un team per resistere nel tempo – come ha sempre dichiarato – non come gli intertristi che hanno una impalcatura al quanto traballante.
Se Sacchi, quasi 35 anni, fa ha cambiato modo di fare calcio, Paolo ha cambiato il modo di fare il dirigente, perché mentre lo scorso anno tutti sostenevano che perdere i migliori giocatori a zero fosse da considerarsi un reato economico oltre che tecnico, ora tutti sostengono che resti l’unica via da seguire. Basta guardare la Juve con Dybala e, molto probabilmente, anche l’Inter con Perisic.
Il servilismo giornalistico italiano. Anche in questo abbiamo segnato la via da seguire: non abbiamo mai abboccato alle provocazioni, alle voci, ai tentativi di destabilizzazione dell’ambiente. La dirigenza, ancora una volta l’ha gestita nel migliore dei modi. E per questo si può dire che questo scudetto sia in parte anche di Zvonimir Boban, io non lo dimenticherei. Si è esposto, utilizzando la stampa, mettendosi contro la società e arrivando al licenziamento pur di salvaguardare il progetto iniziato con Paolo e difendere Pioli. Alla fine, forse in fondo, possiamo anche dire che si sia sacrificato per arrivare al Milan attuale, perché nella scelta di molti giocatori c’è anche molto di suo, un nome su tutti: Leao. Come c’è molto di Zorro nell’insistere a portare Ibra a rivestire i nostri sacri colori, primo grande mattone nella rinascita rossonera. È chiaro che si possa star qui a discutere tempi e modi, che non sono piaciuti nemmeno a me, ma credo che nelle sue intenzioni non sia mancato mai l’amore verso il Milan. Su questo ho pochi dubbi.
Beh su Ibra cosa vogliamo dire? uno che prova ad allenarsi e a giocare 6 mesi con un crociato rotto solo per mantenere una promessa fatta, merita la mia stima in eterno. Questi sono valori difficili da trovare al giorno d’oggi, ma che insieme a quelli di Maldini hanno reso forte questo gruppo e reso grande il Milan.
Forse più che in passato questo è lo scudetto anche dei tifosi: la società e la squadra lo sanno e l’hanno dichiarato più volte. È lo scudetto di quelli che non hanno mai mollato, di quelli che hanno sempre sostenuto i ragazzi. È lo scudetto di quei tifosi che hanno esultato per un gol di Locatelli come per uno di Ibra, perché loro ci sono sempre stati. Perché un gol del Milan è sempre un gol del Milan, indipendentemente da chi gonfia la rete.
È lo scudetto di quelli che sono sempre stati presenti, di quelli che hanno sopportato i mercati fatti al citofono, di mercati a parametro zero per accontentare i procuratori amici, degli hip hip urra in spogliatoio, della telenovela di mister Bee, di Yong hong li. È lo scudetto di chi in questi undici anni c’è sempre stato e ha sempre sostenuto il Milan, credendo sempre in questi colori anche nei momenti bui. Ed è per questo che, in fondo, se lo meritano per primi loro.
Come scritto prima, personalmente, è il secondo scudetto in ordine d’importanza perché l’impresa sportiva è stata enorme, perché è stata una vittoria di gruppo contro tutti e tutto. Abbiamo fatto a meno per molto tempo di Ibra e Rebic, di Maignan a inizio stagione, sostituito in modo egregio da Tatarusanu (alzi la mano chi non ha mai pensato a cosa sarebbe successo se non avesse parato il rigore nel derby di andata). Per non parlare di Kjaer, che ha finito la stagione a dicembre. E poi i focolai covid, “le sviste” o gli errori arbitrali senza i quali avremmo sicuramente sofferto meno. Tanti paragonano questo scudetto a quello di Zaccheroni, anche se a mio parere quel Milan era più forte, mentre quest’ultima è la vittoria di un gruppo che si è formato attorno al suo totem Ibra e al suo allenatore Pioli, che ha remato sempre nella stessa direzione dando sempre la sensazione di stare bene insieme.
Personalmente, in cuor mio, ho iniziato a crederci dopo la vittoria con la Lazio a Roma: lì ho capito che era scattata la scintilla nella testa dei ragazzi, che ci credevano e avevano fatto il salto di qualità. È vero, avevamo già vinto in casa di Roma, Inter, Atalanta, Napoli, ottenendo 30 punti negli scontri diretti con le big, ma il vero step mentale è stato fatto in quella notte romana. Poi con la Fiorentina, il Verona, l’Atalanta e Sassuolo ero molto tranquillo: era solo questione di tempo nel fare gol, perché sapevo che sarebbe arrivato.
Questa è la vittoria di una filosofia nuova sia nel fare calcio che nel gestirlo, è la vittoria di una società che è riuscita a vincere uno scudetto avendo i conti in ordine e che si sta proiettando verso il futuro con una mentalità e una dimensione europea. Tanto che anche il Manchester United vuole ripartire prendendo a riferimento il modello Milan.
È uno scudetto che ha tanti “padroni”.
Permettetemi per questo una piccola dedica, perché è anche lo scudetto di un gruppo di ragazzi, tra cui anch’io, che ha sostenuto sempre la squadra: ogni giorno virtualmente con il nostro gruppo WhatsApp e materialmente seguendo i ragazzi a San Siro ed in trasferta come non mai, perché ci abbiamo creduto da subito, perché era il cuore (rossonero) a suggerircelo. È lo scudetto di Irene, Mario, Luca – che mi disse di preparare la bandiera rossonera di ritorno da Genova alla prima giornata contro la Samp – Davide, Roberta, Alfredo, Fabio, Luca P., Alessandro, Leo, Andrea, Guido, Susanna, Barbara, Sandro e Vito. Ci siamo fatti i km, abbiamo superato gli ostacoli, ci siamo sostenuti e consolati a vicenda, siamo diventati una famiglia. Ecco, questo scudetto è di queste persone e di tutti i tifosi come noi che ci hanno creduto…. e ce ne sono tanti, perché solo il Milan sa regalare queste emozioni.
“perché quando vince il Milan è ancora più bello” (E. Jannacci)
FVCRN
Harlock
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