Per la serie “accadde oggi”, Il 27 Giugno 1980 è un giorno entrato nella storia del nostro paese per alcuni particolari avvenimenti.
Il primo, certamente il più importante, è la nascita del sottoscritto alle ore 8.10 del mattino: il mondo non sarà più lo stesso, e in mio onore pubblico il pezzo alla stessa ora quarant’anni dopo.
Scherzi a parte, quel giorno è ricordato, purtroppo, soprattutto per la strage di Ustica che costò la vita a ottantuno persone.
Ma un altro avvenimento ben più piacevole vale la pena ricordare: il concerto di Bob Marley a San Siro, prima esibizione italiana del grandissimo artista giamaicano a cui assistettero circa 100.000 persone. Sicuramente uno dei concerti che avrei tanto voluto vedere, sublimazione massima del concetto di aggregazione, o meglio “assembramento”, che da qualche mese a questa parte ci tormenta.
Curiosamente, quarant’anni esatti dopo, ci si prepara ad assistere a un tipo di spettacolo diametralmente opposto come una partita di calcio a porte chiuse nel medesimo stadio, situazione impensabile solo fino a qualche mese fa ma ormai diventata normalità. Molta gente che conosco si è già abituata a questa routine: ci si abitua a tutto, o più semplicemente può anche fregare il giusto della presenza o meno degli spettatori allo stadio, ad alcuni addirittura piace sentire le voci dei protagonisti mentre giocano. Punti di vista, a me sembra di guardare gli allenamenti della squadra di terza categoria del mio paese, ma è solo un mio problema. Mi disturba a tal punto che ho finito per non guardare Lecce-Milan, ripiegando su una rapida e indolore visione degli highlights.
Non sono quindi in grado di esprimere opinioni o commenti sulla prestazione dei nostri eroi in terra salentina; il risultato rotondo fa piacere e mi fido delle analisi che ho letto qui sul blog, mi auguro solo che le presunte prestazioni brillanti di qualche solito sospetto non mettano in discussione decisioni teoricamente già prese su mancati rinnovi e dismissioni non più rimandabili.
Tornando a bomba sugli stadi vuoti (o stadi immaginari se preferite), in settimana c’è stato l’atteso incontro tra il Comune di Milano e i rappresentanti di Milan e Inter, con la presentazione di questi ultimi dell’ennesima proposta per avvicinarsi ai desiderata di Palazzo Marino.
Dai titoli di giornale immediatamente successivi all’incontro pareva che quasi si potesse partire coi lavori lunedì prossimo: “Accordo tra Comune e club”, “Fumata Bianca sul nuovo San Siro” e via dicendo. Come quasi sempre accade, leggendo gli articoli o anche solo la nota ufficiale del Comune i toni trionfalistici dei titoli si ridimensionano assai.
Leggendo poi gli approfondimenti e i commenti degli addetti ai lavori (leggasi per esempio alcuni consiglieri comunali dell’opposizione, ma non solo) nei giorni a seguire, si scopre che questa nuova proposta è ancora piuttosto lontana dai requisiti di legge che un progetto di riqualificazione di queste dimensioni, a prescindere dallo stadio che ne rappresenta solo una parte, imporrebbe; e che, quantomeno dall’idea che mi sono fatto io, il fronte contrario in città è più popolato di quanto si percepisca.
Il dibattito etico sulla realizzazione di un nuovo stadio a Milano non mi ha mai appassionato più di tanto, come tutti sono affezionato a San Siro per le emozioni che ho vissuto e per i ricordi che mi legano ad esso, ma non ho pregiudizi su concetti come progresso e innovazione, se di questo si tratta. Tuttavia, a giudicare dagli atteggiamenti di tutti gli attori coinvolti, per il momento siamo di fronte ad un teatrino infinito tipicamente italiano. Ma anche questa è solo una mia idea che potrebbe venir smentita domani mattina.
Ciò che veramente mi infastidisce è questa cantilena martellante sull’assoluta necessità di avere un nuovo stadio, più moderno, lo stadio più bello del mondo e bla bla bla “per tornare ai fasti di un tempo”: fumo negli occhi puro e semplice. E’ chiaro che il problema impianti sportivi esiste ed è un problema di tutto il sistema dello sport professionistico italiano, che è rimasto indietro di decenni rispetto ad altri paesi, però sta diventando una propaganda involontariamente comica: “lo stadio nuovo” is the new “fiscalità spagnola” o “i petroldollari russi-arabi”, come se arrivassimo tra il sesto e l’ottavo posto da ormai 7 anni perché mancano i ricavi da stadio e non per una gestione discutibile, diciamo così, da parte dei vertici della società.
Intanto ci ha salutato un’altra bandiera, il grande Pierino Prati. Ovviamente per ragioni anagrafiche lo conosco solo grazie ai vecchi filmati e ai racconti di mio padre che mi fece una testa così sull’epopea di Pierino e Gianni Rivera, imprecando contro la propaganda berlusconiana che fingeva di dimenticarsi che il Milan esiste dal 1899 e non dal 1986. Io ero bambino e pensavo solo al cappellino con le treccine di Gullit, non me ne fregava niente, ma col tempo ho capito e saputo apprezzare anche ciò che non ho vissuto in prima persona; le immagini dei gol di Pierino sono stati un grande aiuto in tal senso.
Ciao Pierino.
Tuco
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