E’ tutto relativo…

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Da qualche giorno è ufficiale. Dan Friedkin rileva il pacchetto di maggioranza della Roma da James Pallotta dopo otto anni di regno (controverso) dell’Italoamericano. Stando ai dati ufficiosi (fonte Sole 24 ore) il magnate Yankee (patrimonio personale stimato in 4,2 miliardi di dollari e CEO del relativo gruppo con un fatturato che supera i 10 miliardi di USD/anno fonte FORBES) si è impegnato per 591.000.000 di Euro. Non importa se il passaggio di denaro vero e proprio si limita a 63.414.047 Euro, come da comunicato ufficiale alla CONSOB (alzi la mano chi non ha 63 milioncini e spiccioli in tasca…), questo è il prezzo pagato per 86,6 % delle azioni rilevate, ma implica il carico delle passività fino ad arrivare alla valorizzazione vera e propria che rapportata al 100% delle azioni ne fanno un giochino da 680 milioncini malcontati.

Ho seguito il passaggio di proprietà della Roma non tanto perché mi interessasse la cosa in sé ma perché il valore dato alla società mi sembrò spropositato tanto quanto la valutazione (1,1 miliardi solo per sedersi al tavolo delle trattative) che Elliott pare dia al Milan e come potete immaginare la cosa, in una ipotetica prospettiva, ci tocca molto più da vicino.

La domanda mi è venuta spontanea: Ma come si può valorizzare una società, per di più una società di calcio che è legata ai risultati sportivi che sono aleatori ed imprevedibili? Non capendone una beata provo a googolare qua e la ma non ne vengo fuori, una risposta univoca non c’è e nemmeno una regola aurea. Ho la fortuna di avere la commercialista in ufficio lunedì e, pur vergognandomi un po di farle perdere tempo per le mie amene curiosità calcistiche, mi faccio forza e le pongo la fatidica domanda (per la cronaca, la nostra commercialista ci cura a puro titolo di favore visto che il suo principale business è proprio la consulenza nei passaggi di proprietà delle aziende ed a suo tempo fece parte del team che curò la ristrutturazione proprietaria di TIM, non proprio l’ultima arrivata quindi, ed è preparata sull’argomento). La prima risposta? Una risata; di cuore.

Poi passa alle cose serie. “ci sono diversi metodi per valorizzare una azienda” esordisce, “quello dei multipli in cui si contano tot anni, di solito 10, di utili calcolati sulla media degli ultimi 3, quello del fatturato rettificato (che tiene conto di fattori previsionali e non solo dei valori attuali) moltiplicato per tre anni, il tutto poi modificato in funzione della capitalizzazione e degli assets di proprietà. Per le società quotate in borsa, in teoria, la base della valutazione dovrebbe essere la valorizzazione del pacchetto azionario aggiunto di un premio che il compratore è disposto a pagare per finalizzare l’acquisizione (in quanto va pagato ai piccoli e grandi azionisti ed è sottoposto al controllo degli organi competenti es. CONSOB in Italia)”. La spiegazione è stata un po più complicata di così e ci ho capito solo in parte ma ho riassunto per grandissime linee perché non è quello il punto (chiedo scusa ai commercialisti ed affini frequentanti il blog per le banalizzazioni). “Insomma”, continua, “te la faccio breve? E’ come essere al mercato. E’, come in tutte le cose della vita, l’incontrarsi o meno tra la richiesta di chi vende e la volontà di spesa di chi acquista. No, non stupirti, e come le cocozzelle al banchetto della frutta. Se sono belle e non ti chiedono di 1,50 al Kg le compri, altrimenti glie le lasci li…, moltiplica per qualche miliardo e il succo è quello. Tutto dipende da cosa ha in mente chi compra, da quanto è strategica l’acquisizione per il suo business. Spesso ci sono motivazioni che i professionisti che devono poi curare l’aspetto pratico del closing nemmeno sanno o sono in grado di capire. Noi trattiamo solo i numeri e verifichiamo che corrispondano (quella che si chiama due diligence). Che vuoi che ti dica: è tutto relativo a quanto chi compra tiene al prodotto e quanto chi vende vuole disfarsene”. Aggiungo Io, da buon uomo con valigetta, da quanto chi vende ha necessità di farlo.

Forte di questa spiegazione basata su questi raffinatissimi argomenti da maghi dell’alta finanza ed ormai esperto della questione mi rifaccio la domanda. Ma se la Roma, malcontati, è stata valorizzata 700 milioni la cifra di 1,1 miliardi di richiesta per il Milan, cifra ricorrente ogni volta che i giornali cianciano quando torna di moda il nome di Arnault, è poi così fantascientifica come ci appare?

Non ho una risposta ovviamente ma qualche considerazione si può anche fare. Parto da un presupposto che a noi può sembrare lontano e fuori dai nostri usi e costumi ma, giusto o sbagliato che sia, sempre più veritiero. Il calcio di una volta, quello giocato per strada che per i più dotati si trasferiva negli stadi, quello dei magnati che spendevano per il loro sollazzo, la loro passione (o la loro immagine di vincenti come Berlusconi), quello che era ancora in maggioranza sport, non esiste più. Meglio farsene una ragione. Senza andare tanto in la pure da noi se togliamo i bicolori sabaudi (che in qualche modo sono ancora un po “magnati”, non foss’altro per il complesso di inferiorità verso il lato Elkan del monociglio) le società di peso sono oramai in mano a gruppi multinazionali o investitori esteri. Pure per i Lotito e De Laurentis (guardate il bilancio del gruppo se non ci credete), il calcio è fonte di utili e basta. Il calcio oggi è spettacolo (sempre più televisivo), entertainment, evento di marketing, collegato a giri finanziari sempre più complessi e sempre meno sport nell’accezione un po romantica con la quale noi tifosi lo seguiamo.

Se lo guardiamo in quest’ottica provate a fare mente locale. Il Milan ha molto più seguito della Roma (sia in Italia e molto di più all’estero per via di una storia gloriosa che, per quanto lontana, ha legato ai colori rossoneri milioni di fans) e quindi ha potenzialità commerciali enormemente superiori. Il Milan è la squadra di Milano che, con tutto il rispetto per Roma, che peraltro adoro, è il punto nevralgico finanziario, industriale, commerciale di tutta Italia, una città più mitteleuropea che italiana, connessa con e parte del mondo H24. La città dove girano gli interessi finanziari nazionali e internazionali. Una delle due capitali mondiali della moda. Una città dove i valori immobiliari sono enormemente più elevati di qualsiasi altra in Italia e seconda in Europa solo a Parigi e Londra (un appartamento a porta nuova va dai 18.000 ai 24.000 Euro al m2). Una città che, a seguito dell’Expo, è stata in buona parte riqualificata e che è diventata il punto di sbarco preferito di cinesi, giapponesi, russi, americani etc. A Roma si va per turismo (o per contatti politici visto che è la capitale) ma il grano duro gira da queste parti. Il Milan avrà, anche se in compartecipazioni, un suo stadio di proprietà (a Roma ci crederò quando lo vedo e comunque il valore intrinseco della stadio a Milano con gli annessi e connessi è enormemente superiore) e, soprattutto, intorno allo stadio nascerà un’altra zona residenziale/commerciale/affaristica destinata a diventare una nuova “porta nuova” o “city life” o “quadrilatero” con le sue relative valorizzazioni. Avrei altri mille argomenti ma mi fermo qua altrimenti facciamo notte, sperando di aver reso sufficientemente l’idea.

Quindi così, a naso, da uomo del volgo che cerca di capire cose più grandi di lui, direi che con ogni probabilità le cifre in ballo potrebbero davvero essere di quella portata o comunque devono per forza di cose essere parecchio superiori a quelle romane. Diciamo che quantomeno non ne sono più così stupito. Ci sarebbe anche altro, cose che probabilmente non si leggono nei libri contabili, ma anche rimanendo alle cose banali ed alla nostra portata ce ne sarebbe già abbastanza.

Intendiamoci bene, lo dico per non creare false aspettative ne darmela da frequentatore dell’alta società con relativo accesso ai salotti dove si parla la gente che conta quale non sono. Da qui a che qualcuno (Arnault o chi per lui) sia davvero interessato, che qualcuno sia davvero disposto ad un investimento di questa portata, che davvero ci sia qualcuno per il quale tutto questo abbia un senso, che sia in tempi brevi, medi, lunghi o mai, che sia collegata alla effettiva realizzazione dello stadio o meno, etc., non ne ho la più pallida idea e di quello che scrivono mi fido men che zero. Tra l’altro bisogna anche considerare che Elliott lascerebbe una società senza debiti avendo sempre ricapitalizzato e, per quanto poi il valore dell’impegno finanziario non cambi, un conto è spendere qualche decina di milioni e coprire i debiti con fidejussioni e/o emissioni di titoli di ogni tipo (come Friedkin a Roma), un altro sarebbe cacciare una miliardata abbondante cash (o quasi…) tutta in un picchio ed Elliott non credo si accontenterebbe di qualche chiletto di “pagherò”.

Qualsiasi cosa succederà, se mai succederà ed ho tutti i miei dubbi, dico solo che le cifre potrebbero non essere fantascienza, ma ci crederò, se accadrà, solo a cose fatte. Ci siamo già scottati troppe volte, meglio stare lontani dal fuoco. Anche se… “è sempre tutto relativo”…

FORZA MILAN

Axel

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