Emozioni

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Nei giorni difficili che stiamo vivendo l’assenza del calcio è l’ultimo dei pensieri. Chi esce di casa lo fa per necessità o per lavoro ma la maggioranza è costretta tra le quattro mura domestiche. Anche Il calcio si è fermato, come è giusto che sia, ed è il momento delle riflessioni, ma anche dei ricordi. Di solito preferisco guardare avanti ma ad oggi non riesco ancora a prefigurarmi come sarà il mondo post virus (e non parlo solo di calcio) e non avendo altro su cui concentrarmi i ricordi risalgono in superficie e tornano vividi. Momenti che erano seppelliti nella memoria sembrano accaduti ieri. Ve ne propongo uno che ha segnato la parte rossonera della mia vita come pochi altri.

E’ lunedi 22 Maggio. L’anno lo indovinerete poi. Sono appena rientrato a casa dal lavoro quando squilla il telefono. All’altro capo del filo il mio amatissimo Zione, lo Zio preferito. Quello supertifoso, del Milan ovviamente, quello che a me, figlio di un padre a cui il calcio non faceva né caldo né freddo, aveva trasmesso il morbo. Lo Zione era a modo suo un uomo di una certa importanza. Lui, alto dirigente di una grossa azienda di impiantistica. Lui, l’uomo che aveva la responsabilità degli impianti all’estero della società e che, per questo incarico prestigioso ed importante, passava la vita sugli aerei tra business class e prima, svolazzando tra Milano e Tokio, Rio De Janeiro, Atlanta, Denver, Perth, Dusseldorf, Francoforte e… Barcellona dove avevano fior di produzioni. Barcellona? Si, proprio Barcellona…

“Nipotastro degenere” esordisce. Usava chiamarmi così, tra il serio ed il faceto, per via di certi trascorsi giovanili per i quali mi ero fatto, secondo certe voci maligne, false e del tutto ingiustificate fatte circolare ad arte da persone poco raccomandabili, una fama poco lusinghiera in famiglia. “cos’hai da fare Mercoledì?”
“Boh, sarei indeciso… Stavo pensando ad una capatina a golf, poi una seduta dalla massaggiatrice, pranzetto al ristorante poi un po di shopping al pomeriggio…. Ma Zio, dove cazzo vuoi che vada… a lavorare!” e sento una risatina in sottofondo…“vedi”, riprende, “Si dà il caso che il nostro AD abbia deciso che allo stabilimento di Barcellona ci sia assoluta ed urgentissima necessità della nostra presenza. Grossi problemi di produzione che devono essere risolti al più presto. Sempre il caso, vuole che l’aereo personale della proprietà sia disponibile e lui l’abbia prenotato per noi vista l’urgenza e la delicatezza della situazione in fabbrica. Partiamo mercoledì alle 14:00 dallo scalo privato di Linate e torniamo Giovedì in giornata. Abbiamo giusto adesso scoperto (e sento un sogghigno in sottofondo) che mercoledì sera al Camp Nou, c’è la finale di Coppa Dei Campioni. Il capo è tifosissimo anche lui ed è riuscito, tramite qualche contatto influente che abbiamo in Spagna, ad avere dei biglietti in tribuna d’onore. Sai com’è, dopo una dura trasferta, un lavoro così delicato, decisioni pesanti da doversi prendere, lo stress etc.” (altro sogghigno in sottofondo…), “un minimo di gratificazione è d’obbligo. Siamo in quattro dell’azienda ed ognuno di noi può portare una persona. Doveva venire Chicco (che sarebbe ammiocuggino…) ma è a letto con la bronchite e lo sai com’è, la zia non lo fa alzare neanche se le appare la Madonna in persona per ordinarglielo. Sai bene che con la Zia non si discute; Quindi pensavo… Perché buttare via un posto in aereo ed un biglietto? Perché non vieni tu?”

Silenzio… Avete presente il mondo che vi crolla addosso? Quei momenti topici in cui pensate che rimanere su questo sassolone sospeso nel nulla sia solo inutile e doloroso? Tipo quando la più carina della V°E prima ve la lascia annusare e poi Vi scarica come un sacco della rumenta? Quando scoprite che siate rimasti senza nutella la domenica pomeriggio? Quando bucate una gomma e ritardate al colloquio di lavoro più importante della vostra esistenza e quando arrivate, sudati e con le mani, la giacca e la camicia, sporche di grasso e dopo aver recitato tutti i rosari dell’universo, scoprite che hanno appena assunto quel nerd odioso che, sarà pure un coglione, ma è arrivato con un’ora di anticipo fottendovi il posto? Quando chiedete alla vostra fidanzata se vuole sposarvi, lei risponde “SI” e tu realizzi in quel preciso istante perché sei considerato universalmente un idiota? Quando Galliani vende Ibra e Thiago? Insomma quando il mondo perde di colpo il colore e ti appare tutto in bianco e nero (a proposito di bianco e nero, mettiamoci uno Juvemerda che ci sta sempre bene) e ti chiedi cosa hai fatto di male per meritarti tutto questo?

Lo so, vi starete chiedendo perché il mondo, il mio per lo meno, avesse un buon motivo per finire proprio in quel momento. Perché fossi sull’orlo della disperazione anziché esultare di gioia per aver vinto la lotteria … Ci arrivo.
In quel periodo avevo appena cambiato lavoro. Ero arrivato in nuova azienda da pochi giorni e sarei stato in prova per i canonici tre mesi alias sotto la lente d’ingrandimento. Ora, ditemi Voi, come potevo bussare alla porta dell’ufficio dirigenziale da Megadirettore Galattico Duca Conte del mio capo e disturbarlo per chiedergli due, dicasi ben due, giorni di permesso? Mentre ero ancora in prova? Solo l’idea di entrare in quell’antro tetro e misterioso quanto lussuoso, mi terrorizzava, figurarsi chiedere un permesso. Di due giorni poi… E se mi avesse chiesto a cosa mi serviva, il motivo per cui osavo disturbarlo, come potevo rispondere che dovevo andare a Barcellona per vedere una partita di calcio? Cosa potevo inventarmi? Niente perché la faccia da culo non l’ho mai avuta e mi avrebbe sgamato prima ancora che finissi di dire buongiorno. Se poi il bastardone mi avesse detto “non si preoccupi, si prenda pure il permesso”, col quel sorriso mellifluo e traditore che lo contraddistingueva, per poi farmi trovare al ritorno una lettera di licenziamento, chi avrebbe avuto il coraggio di tornare a casa e dirlo ai miei? Tremavo alle conseguenze e già mi vedevo ripudiato dalla famiglia, scaraventato fuori di casa e sotto un ponte del naviglio iniziando la carriera da homeless…Neanche lo Zione avrebbe potuto salvarmi. No, questa trasferta non s’aveva da fare…

“Zio, ti ringrazio per aver pensato a me, ma proprio non posso. Il permesso di sicuro non me lo danno e non posso rischiare proprio adesso” e pronunciai quelle parole mentre le lacrime iniziavano a scendere copiose… “capisco”, rispose lo Zio, “va bene sarà per un’altra volta. Però fino a domani mattina sono ancora in tempo per metterti in lista, nel caso chiamami in ufficio…”. Quella telefonata riparatrice non la feci mai ed il rimpianto è vivo ancora oggi.

Inutile dire che quella sera non cenai, non dormii la notte e fossi incazzato come un pitbull a cui hanno cavato un molare senza anestesia. Il giorno seguente passai la mattina cazzeggiando con un paio di pratiche da processare e la cornetta del telefono. La presi in mano, credo, 50 volte ma non mi decisi mai a chiamare. Il senso del dovere, ed ancor di più il terrore, ebbe la meglio. Mi trascinai così, stancamente, fino al Mercoledì a mezzogiorno pensando, Io che in vita mia non ero mai salito nemmeno sull’otto volante, alla poltrona di quell’aereo sulla quale avrei dovuto, proprio in quel momento, posare comodamente il sedere. A quel biglietto rimasto inutilizzato, al posto in tribuna d’onore in quel del Camp Nuo sul quale avrebbe dovuto esserci una targhetta con scritto “reservados al Senior” seguito dal mio nome e cognome. Agli 80.000 fratelli de leche arrivati da Milano e da tutta Italia insieme ai quali avrei dovuto tifare, urlare, applaudire e, si sperava, festeggiare. Allo Zione che, bontà sua, avrebbe voluto regalare un sogno al nipotastro.

La partita la davano in TV ma non sapevo nemmeno se l’avrei guardata. Avevo paura. Paura che se fosse andata male sarebbe stato per colpa mia. Che il destino volesse punirmi per aver rifiutato la grossa occasione che mi aveva concesso. Paura che per colpa della mia codardia tutti i milanisti del mondo dovessero pagare un pegno pesantissimo. Una colpa che non sarebbero bastati milioni di anni di purgatorio per espiare. Una peccato che avrebbe fatto di me colui che il sogno l’aveva rovinato a tutti gli altri. Un essere indegno del tifo rossonero. Con questa disposizione d’animo, nonostante tutto, un minuto prima del fischio d’inizio ero davanti al TV…

Una delle partite più belle, fantastiche, emozionanti che abbia mai visto. Eppure la segui in trance. Non riuscii a godermela. Ricordo che anche sul 4-0, a giochi ormai fatti, continuavo a ripetermi: “speriamo che finisca alla svelta, speriamo che finisca…”. Guardavo più l’orologio per contare i minuti che non passavano mai che le azioni in campo. Volevo solo liberarmi di quel peso. E così fu… Tornai in me solo dopo la fine ed in quel preciso istante esplose tutto. E va bene, mi ero giocato una trasferta che resterà mitica per l’eternità, non potevo urlare scorrazzando per le ramblas, non avrei dormito nel 5 stelle aziendale nè tornato a Milano con un volo executive tra top managers che disquisivano di finanza internazionale, di trasferte esotiche, di escort in questa e quella città e delle prospettive della chimica Italiana del decennio successivo ma, in fondo, “chi se ne frega”, mi dissi, abbiamo vinto siamo tornati sul tetto del mondo siamo i più forti di tutti. L’unica cosa che importava…

“Mà.. esco…”. “A quest’ora? Ma dove vai?”. Ero già fuori con addosso il giubbotto. Una volata in box, la moto, ed in pochi minuti ero in centro. Una bolgia; gente che cantava, gente che si ubriacava, spinelli che passavano tra ragazzi che non si conoscevano nemmeno, ragazze che sbaciucchiavano praticamente chiunque arrivasse a tiro, macchine con gente seduta su cofani, tetti e bauli e bandiere. Tante bandiere, tutte rossonere. Gioia, pura gioia e quel senso di fratellanza che puoi provare solo quando ti senti parte di qualcosa di immenso. In quei momenti non importava più nulla. Era Milano, la mia città, era il Milan, la passione di tutta una vita, eravamo noi rossoneri insieme, ognuno con dentro qualcosa di tutti gli altri. Tutti quelli che avrebbero voluto andare, essere in Spagna con quei ragazzi, ma non avevano potuto. Eravamo tutti lì. E c’ero anch’io…
In fondo… Grazie capo, tutto quello che credevo di aver perso l’ho ritrovato con gli interessi quella notte. Grazie per il tuo sorriso traditore e la paura che mi incutevi che mi hanno fatto decidere. Grazie per non avermi fatto andare anche se non l’hai mai saputo. Grazie Milan, per avermi regalato quella notte e tante altre. Grazie fratelli che condividete questa avventura. Grazie a Voi che avete perso il vostro tempo tra le mie parole arrivando fino in fondo…
Essere rossoneri è una fede che ti regala grandi momenti e grandi delusioni ma senza la quale la vita non avrebbe lo stesso sapore. Ritorneremo. Perché alla fine possono farci male, possono umiliarci, possono percularci, possono farci incazzare come Ulani all’assalto, ma c’è una cosa che non potranno fare mai. Farci rinunciare alla passione per questi colori.

FORZA MILAN

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Puoi cambiare tutto nella vita. La fidanzata, la moglie, l'amante, la casa, il lavoro, la macchina, la moto e qualsiasi altra cosa che ti viene in mente. Solo una cosa non potrai mai cambiare. La passione per questi due colori. "il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari". Grazie mamma che mi hai fatto milanista, il resto sono dettagli.