Delle partite contro l’Atalanta e il Bologna e dei sorteggi di Champions vi hanno già raccontato tutto i miei illustri colleghi e nel modo più esauriente ed approfondito. Mi dedicherò, quindi, a coinvolgervi nell’ osservazione di due episodi verificatisi la settimana scorsa: uno passato forse sotto traccia, l’altro più evidente. Mi riferisco al premio dato dall’ Uefa ad Arrigo Sacchi e all’intervista concessa da Boban alla Gazzetta.
Voi sapete che a me, prima di guardare al presente e poi al futuro, piace dare uno sguardo al passato. Questo perché credo fermamente nelle nostre radici. E i due episodi citati mi danno spunto per spiegarvi cosa intendo.
Ho scritto molte volte della mia ininterrotta ammirazione per Arrigo Sacchi, che per quello che ho vissuto considero il mio allenatore ideale. Non per niente il suo Milan ha segnato la mia adolescenza, dopo l’infanzia turbolenta amareggiata da retrocessioni, a tavolino e sul campo.
E “l’Arrigo” è riuscito anche in un’altra impresa: quella di unire due entità attualmente molto lontane tra loro. Non è una novità, infatti, che Il Milan e l’Uefa in questi ultimi anni abbiamo avuto un rapporto dicio così “poco disteso”.
“Il calcio può essere distinto in due epoche diverse: pre e post Sacchi. Le infinite innovazioni che ha introdotto sono oggi le basi di qualsiasi manuale del calcio, riprese da generazioni di allenatori che l’hanno seguito” (A. Ceferin).
Per quanto io provi poco simpatia nei confronti dell’attuale presidente dell’Uefa, credo che abbia detto una grande verità riconoscendo che c’è un pre e un dopo Sacchi. Non per nulla quella squadra è stata nominata la squadra più forte di tutti i tempi.
Quante volte abbiamo sentito le frasi “con quella squadra allenavo anch’io”, “con quei campioni non serve l’allenatore”, “Berlusconi fa lui le formazioni”… tutte fandonie, perché quel gruppo realmente forte tecnicamente bisognava allenarlo e farsi seguire nelle idee. Tutti i giornalisti dell’epoca, ancorati ad un gioco del calcio vecchio e logoro, hanno cercato di mettere in cattiva luce il buon Arrigo sia in qualità di allenatore del Milan che poi anche come commissario tecnico in nazionale. Giusto per fare un esempio, il noto giornalista Gianni Brera consiglia ai rossoneri di giocare la finale contro lo Steaua attendendo i palleggiatori avversari per colpirli in contropiede. Sacchi e i suoi ragazzi hanno un altro piano per la partita: “Mister, domani li attacchiamo dal primo minuto e fin tanto che abbiamo energia” (R. Gullit).
A confermare che il Milan di Sacchi stava cambiando la mentalità italiana, nello stesso periodo molte squadre italiane hanno provato a scimmiottare quel Milan. Mi viene in mente la Juve con Maifredi, l’Inter con Orrico, la Lazio con Zeman: tutte più o meno naufragate, perché cercarono di scopiazzare un qualcosa di unico ed originale. Ecco, questo è stato il primo grande capolavoro di Sacchi: convincere un gruppo di Campioni a seguirlo nelle sue idee estremamente innovative per l’epoca e farli coesistere. Poi chiaramente l’apoteosi è stata la sera del 24 maggio 1989 contro lo Steaua: quella fu la vittoria a conferma della sua filosofia. Anche se in quella vittoria c’è dell’altro, c’è molto di più. La vittoria con lo Steaua rappresenta il calcio nuovo, diverso, qualcosa di mai visto prima in Europa, è il pensiero calcistico di Arrigo Sacchi che, prima in Italia e poi all’estero, presentò una squadra che segnerà un’epoca.
Come dice Sacchi “Il pressing non si basa sulla corsa o sul lavoro duro. Si basa sul controllo dello spazio.” Il suo calcio innovativo è fatto di pressing, corsa, movimenti senza palla, fuorigioco e soprattutto un calcio eseguito da grandi interpreti come Baresi, Maldini, Ancelotti, il trio olandese. La vittoria sotto il cielo della Catalogna fu la naturale conseguenza, la massima espressione di un gioco unico che già l’anno precedente aveva portato allo scudetto davanti al Napoli di Maradona. Sacchi diviene così maestro di calcio: con la sua squadra che si muove con tempi perfetti, in cui tutti i giocatori sanno cosa fare e come farlo.
Quel Milan ragiona anche quando non è in possesso della palla, in campo si muove e gioca come un corpo unico, con meccanismi offensivi e difensivi provati in allenamento fino allo sfinimento. Sicuramente è la vittoria della filosofia del tecnico di Fusignano, che la riassume in poche parole: “Volevo che la squadra difendesse aggredendo e non arretrando. Volevo che la squadra fosse padrona del gioco in casa e in trasferta. Era difficile far capire il nuovo modo di giocare, il movimento sincronizzato della squadra senza palla sempre in posizione attiva. Avere una difesa attiva vuol dire che anche quando ha la palla gli avversari tu sei padrone del gioco. Con tale pressione obblighi gli avversari a giocare in velocità, a ritmi ed intensità tali per cui non essendo abituati vanno in difficoltà.”
Ecco, dopo questo sguardo al passato, osserviamo il presente pensando inevitabilmente al futuro. E la riflessione che vi lascio è questa: dopo aver riletto attentamente le dichiarazioni di Arrigo che ho riportato sopra, provate a dirmi se non non arrivate a pensare al Milan attuale. Sono assolutamente convinto, infatti, che Paolo, giovane protagonista di quella meravigliosa squadra, abbia preso a riferimento proprio i vecchi ma attuali dettami tecnici dei buon Caro Arrigo per costruire il Milan attuale. D’altronde quella è la squadra più forte di tutti i tempi e il premio al Profeta di Fusignano è lì a testimoniarlo ancora una volta.
Ed arriviamo all’intervista rilasciata da Zorro Boban alla Gazzetta dello Sport. L’ultima volta che parlò al giornale milanese ci fù praticamente una rivoluzione nel mondo rossonero. Ora, senza entrare nei dettagli di quella vicenda, perché ognuno di noi può avere la sua opinione e qualunque sia del tutto rispettabile, è innegabile che immolandosi alla causa rossonera ci salvò da un progetto, quello di Rangnick, che col sennò di poi era da ritenersi alquanto da sprovveduti. In questa intervista, ancora una volta Zvone non è banale, ma d’altronde parliamo di un Uomo dotato di un’intelligenza notevole. Nella prima intervista rilasciata in qualità di responsabile Tecnico Paolo su Boban disse: “Io pensavo di capirne tanto di calcio, poi ho parlato con Zvone e lui è un passo avanti nel capire tutto”. Peccato per come sono andate le cose, perché lui avrebbe potuto essere una risorsa enorme per il Milan, infatti ancora adesso beneficiamo delle sue scelte: ad esempio Bennacer e Leao. Su Leao in questa intervista Boban dice: “Quando giochi per il Milan, la consacrazione è senza tempo, deve avvenire in ogni partita, ogni anno”. Caro Rafa, a buon intenditore poche parole: se hai capito cosa significa vincere con la nostra maglia, allora non ti resta che apporre la tua firma in calce ad un foglio definito “rinnovo di contratto”.
Su Bennacer invece:” Quest’anno, credo e spero sarà l’anno di Bennacer, una persona e un giocatore straordinario ed ingiustamente sottovalutato”. Questa la dichiarazione fatta da Zvone prima della partita con l’Atalanta…come diceva Paolo, un passo avanti???
Chiudo questo lungo post con una frase di Boban tratta sempre da quella intervista, frase che profuma “terribilmente” di milanismo. Alla domanda “A chi ha fatto la prima telefonata per complimentarsi?” La risposta è “A Paolo Maldini e Massara che poi mi ha passato Pioli sul pullman di ritorno da Sassuolo. Allo stadio c’erano mio padre e mio figlio, pazzi rossoneri. Io ero al buio della mia camera a vedere gli scacchi su youtube, non avevo il coraggio di guardarla”.
Eccoci quindi alla conclusione della mia riflessione: Arrigo e Zvone sono due Uomini che appartengono alla nostra storia e che continuano ad amare il Milan, perché se si vuole comprendere il presente e il futuro dei rossoneri, è necessario anche uno sguardo al passato.
FVCRN
Harlock
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