Pochi giorni e si comincia. Adesso è il momento della verità. Quello che è fatto è fatto. Adesso, ci piaccia o meno, si mette da parte quello che la società ha o non ha fatto, si azzera tutto, ci si mette alla finestra e semplicemente… si guardano le partite. Ho sempre sostenuto che è poi il campo che dice se e quanto si è fatto bene, quindi vediamo… Tifare si tifa, sempre, se il disastro annunciato si realizzerà, non saremo teneri come non lo siamo mai stati, se invece ci stupiranno saremmo pronti ad ammettere che non avevamo capito nulla. Oggi a pochi giorni dall’inizio del campionato non mi sento di parlare ancora delle solite miserie. Vi racconterò una piccola storia, anzi due… Storie di calcio…
Milano, via Montegani… due sedicenni stanno camminando verso casa nelle viette dietro piazza Abbiategrasso. Hanno ambedue il borsone in spalla. Quello della Ac Real Beccaccia. Sono appena usciti dalla sede della società, il bar Beccaccia per la cronaca. Per chi non fosse di Milano, “La Beccaccia” è il quartierino di case popolari tra via Montegani e via Cermenate. Il più piccolo dei due, Bino, sta sbraitando verso l’altro che cammina con il testone piegato.
“Testa di cazzo che non sei altro, con quelle mani di merda che ti ritrovi ci hai fatto perdere… ma cazzo ti passava nel cervello… stai ancora pensando a quella biondina del cazzo? Non te la da, fattene una ragione… ha ben altri tipi in testa… mica dei coglioni come te. ci hai fatto perdere la partita…”
e parte la scarpata nel posteriore…
“Bino ma che vuoi, ho preso due gol mica diec…”
“stai zitto cazzo, zitto. Ti ho portato io alla Beccaccia e mi fai fare ste figure demmerda…”
e parte lo schiaffetto sul coppino.
“forse non l’hai capito, abbiamo perso il derby contro quei merdoni del Corvetto per colpa tua…”
ed un altro calcione parte, quasi in automatico. Ogni periodo viene concluso con un calcetto o uno sberlotto come a sottolinearne l’importanza.
“oh adesso basta dai… e poi il primo si, l’ho preso per colpa mia, ma il secondo ve lo siete fatti scappare voi e me lo son trovato davanti a tre metri”.
“non sei nemmeno uscito, non ci hai nemmeno provato”
“non mi ha nemmeno lasciato il tempo e poi da tre metri con la porta spalancata non ci arrivava nemmeno Albertosi”
“Se vabbe… adesso corri a casa da mammina e non farti vedere in quartiere se no ti spezzo le gambe che mi deve passare… ci vediamo martedì agli allenamenti. Non voglio vedere il tuo faccione di merda prima di martedì. Sono stato chiaro?”
“si, va bene, ciao”
“ma vaffanculo va…”
Bino e Roby sono amici da sempre. Hanno fatto insieme elementari e medie. Hanno cominciato a giocare nei giardini della “San Giacomo”, sempre insieme, sempre nella stessa squadra. Bino è piccolino, ma è un’ira di Dio. Un piccolo Gattuso ante litteram. E come Gattuso è tosto e duro come l’acciaio e se possibile “più terrone” di lui con tutto il carico di orgoglio e determinazione insito nel termine e dico “terrone” con orgoglio visto che lo sono anch’io (al 50% almeno). Cresciuto nelle campagne del Ferrarese prima che i genitori si spostassero a Milano per trovare una vita più dignitosa. Ha nelle gambe la forza bruta dei contadini. Quelli dell’epoca che non avevano i trattori come TIR che usano oggi. Si andava di forca e mietilega. E lui tutte le estati veniva spedito dai nonni dove, a dispetto dell’età, doveva dare il suo contributo nei campi. Da li il suo fisico eccezionale nonostante l’altezza ridotta. Roby è un portierino. Nulla di che, se la cava ma ci sarebbe di meglio. E’ stato fortunato, quando insieme a Bino è arrivato in squadra il portiere che avevano era pure peggio ed assicurarsi una maglia da titolare non fu troppo difficile. Però… Bino lo cercano tutte le squadre del girone, è bravo con la palla tra i piedi, veloce e cattivo. Più cattivo della rogna. Ed un centrocampista bravo e più cattivo della rogna lo vorrebbero tutti. Bino però si è sempre rifiutato… Se vogliono lui devono prendersi anche Roby se no, non importa, si rimane alla Beccaccia. Per quei due ragazzini il calcio è questo. Sono milanisti, tutti e due, ma non sognano San Siro ad occhi aperti, sono giovani ma non stupidi, sanno che non è cosa per loro. No, per loro ed i loro compagni il calcio è questo, quello che si gioca negli infami campetti di periferia, quello per cui si torna a casa con i segni degli avversari addosso e le sbucciature alle ginocchia, quello che è bello perché si condivide, dove prima che giocatori si è amici e si lotta ognuno per gli altri, quello che si gioca per puro piacere. Ma un derby è sempre un derby… Oggi hanno perso e sono incazzati neri. Bino sa che non è tutta colpa di Roby ma non accetta di aver perso il derby e con qualcuno si deve sfogare. Roby è la sua spalla, lo sa e lo accetta. Sa che senza Bino in quella squadra non ci starebbe. Sa che quando vuole è un perfetto stronzo ma sa anche che quando è in mezzo ai pali nessun avversario oserebbe colpirlo proditoriamente. Sa che Bino è li a parargli il culo ed il pirla finirebbe malissimo. Era già accaduto e sarebbe accaduto ancora…
Per la cronaca… Bino e Roby giocheranno sempre insieme. Bino non si è mai rassegnato ed il suo Roby se l’è portato dietro fino alla 1° categoria. Ma i calci e gli schiaffoni non si sono contati. Lo voleva con lui ma pretendeva fosse bravo… ed un pò ci è riuscì…
Qualche decina d’anni più tardi…
Milano – zona Porta Genova – Spogliatoio del campo a sette della parrocchia di Santa Maria delle Grazie.
Mi sto infilando i pantaloncini, quelli con le imbottiture leggere sui fianchi. Le tute superimbottite sono per i portieri fighetta. Se atterro male e mi saccagno sul quel campo infame di terra più dura del cemento e colpa mia che sono atterrato male. La soddisfazione di coprirmi con la tuta da palombaro ai portieri avversari non glie la do. Ne ho più di 50, come tutti i miei compagni e nel campionato a sette del CSI c’è di tutto. Anche le squadre di 20enni che quando entrano in campo ti guardano con compatimento perché hai 30 anni in più. Di solito basta il primo quarto d’ora per fare passare loro la sicumera. Certo, corrono di più e più veloci, spesso sono atleticamente degli armadi a 4 ante contro dei comodini male in arnese, sono strafottenti e irrispettosi, il sorrisino di scherno quando ti ritrovi a centrocampo prima della partita non te lo risparmiano, “ma dove vorrebbero andare ste mummie” sembra che dicano… Ma noi siamo tutte vecchie volpi. Gente che ha giocato una vita in tutte le categorie, in tutti i campi, in tutte le situazioni. Al loro atteggiamento superiore non rispondiamo, facciamo finta di niente. I conti si regolano sul campo… in partita.
Mi alzo per infilare i pantaloncini e mi trovo Alberto di fronte che mi fissa negli occhi.
“Simon”, qui mi chiamano Simon per non confondermi con Roby, il nostro centravanti, “oggi è importante, vedi di essere in una delle domeniche SI, oggi non siamo in gita di piacere”.
si volta verso gli altri e continua;
“banda di pirla… forse non vi è chiaro ma oggi abbiamo il derby contro gli stronzetti della Juvenila, che non per niente hanno la maglia bianconera. Forse non lo ricordate ma all’andata, a casa loro, ci hanno fatto un mazzo così e ci hanno anche preso per il culo. Siamo comunque avanti di due punti in classifica a tre dalla fine del campionato, se la portiamo a casa è fatta, alla faccia di sti ragazzetti del cazzo… E poi giochiamo in casa, ci sono i bambini della parrocchia sugli spalti, vediamo di dar loro una soddisfazione”
Ci alziamo, ci guardiamo negli occhi, annuiamo, ma nessuno proferisce parola. Quando Alberto parla si ascolta e si sta zitti. Alberto è il capitano e soprattutto la vera anima della squadra. Talento, tecnica, determinazione e carisma… tonnellate di carisma e, credetemi, i tomi con cui aveva a che fare non erano certo delle educande, che quelli che provenivano dalle banlieaue milanesi degli anni 80 delle educande non potevano essere… se volevano rimanere vivi…
Entriamo in campo… li ricordo ancora tutti (e per i dettagli un ringraziamento al mio amico e compagno Roby). Angelo a destra terzino tuttofare, Ricky, mancino, a sinistra. Dalle fasce non si passa, al massimo si guadagna un fallo al prezzo di una cicatrice… Alberto centrale. A metà tra difesa e centrocampo, avanti ed indietro a dispetto dell’età, un misto di tecnica, classe ed intelligenza. E poi il solito carisma. Gli avversari correranno anche di più ma Lui è capace di farli correre a vuoto per tutta la partita, gli basta un minuto per far capire chi è e che è meglio gli girino al largo. I falli, quelli cattivi, Alberto sa come si fanno e li fa col sorriso sulle labbra. La palla la fa girare lui, o la nasconde. Subito avanti Nico, che a guardarlo sembra provenga da un paese dell’entroterra calabrese. Se potesse terrebbe la coppola in testa e la doppietta in spalla anche in campo. Lo incontrassi per strada cambierei marciapiede… e poi Adriano, potenza distruttiva e tiro da fuori… per finire davanti Rob. Rob sarebbe fortissimo, meriterebbe spalti ben più prestigiosi. Vive per il gol ma ha un piccolo difettuccio. Anzi due, anzi tre… E’ troppo buono e qualcosa dentro lo obbliga a non infierire anche quando potrebbe. Bello, nobile, ma in quel contesto appare, qualche volta, come un conte in una bettola per camionisti ed a volte può costare la partita. E’ uno stoccatore, potrebbe segnare quando vuole ma ama il pallone più della sua compagna. Per una giocata spettacolare, di quelle che strappano gli applausi, sacrificherebbe un gol già fatto… è più forte di lui. E poi è… gobbo… uno dei pochissimi a cui lo perdono ma per me è più di un fratello… Ma quando vuole, ed oggi vuole, è semplicemente letale…
E per finire in porta ci sono Io… col mio misero metro e 76 non sarei esattamente il prototipo del portiere ma le porte del calcio a sette sono più piccole delle regolari e mi arrangio con i riflessi felini ed una buona agilità nonostante gli anni… entro in porta e sento i ragazzini sugli spalti dietro di me… “oh, questo è quello buono… Gli ho visto prendere l’impossibile…” quelle vocette indistinte mi fanno scattare qualcosa dentro. “Oggi cazzo no, se vogliono segnare, mi devono sparare con un Dragunov se no non passano…”
Non ricordo tutta la partita, troppi anni, ma con Rob abbiamo un po’ ricostruito. Fini 7-4, la portammo a casa e vincemmo quel campionato di disperati. Ricordo però che quel giorno presi anche un rigore. Me lo tirarono addosso ma non avevo abboccato e non mi ero mosso. Il pallone mi arrivò semplicemente tra le braccia. Rob lo sapeva, era rimasto là davanti. Glie la spedisco immediatamente con le mani, stop di petto, finta a destra, scappa a sinistra e tiro secco che parte rasoterra.
“Rob, cazzo, te l’ho detto mille volte… quando hai Lo specchio aperto tira a sinistra del portiere che è sempre più difficile arrivarci”
Ma il tiro, per quanto sulla destra, viaggia teso a velocità siderale a 5 cm da terra. Gol… Rob si volta, come niente fosse e mi guarda. credo mi stia dicendo:
“lo so, rompicoglioni che non sei altro… ma questo non l’avresti preso nemmeno tu…” e sorride…
Ricordo che uscimmo dal campo letteralmente sfiniti, distrutti, pieni di segni. Fu una vera battaglia… andammo tutti oltre, anche dove non sapevamo di poter andare… per noi, per dimostrare che eravamo ancora giocatori a dispetto dell’età, che al calcio si vince anche con la determinazione e la cattiveria, che contro di noi se volevano vincere dovevano sputare il sangue. Per il puro gusto di giocare al calcio. Per Alberto, che ci aveva letteralmente trascinati fino a là. Per quei bambini sugli spalti per i quali eravamo degli esempi e degli eroi e che tutte le sante domeniche erano là a fare il tifo. No, quel giorno, nel derby, non potevamo sbagliare…
Intendiamoci bene… il calcio professionistico era altra cosa anche allora, figuriamoci oggi che in 40 anni il mondo si è ribaltato. Stipendi multimilionari, giri di miliardi che ruotano intorno, interessi. Il calcio oggi è quasi un affare politico e soprattutto un affare. Rimane però che per quell’ora e mezzo in cui 22 ragazzi scendono in campo, almeno in quei 90’ minuti, dovrebbe essere solo calcio. Questo vorrei vedere dai nostri ragazzi. Che si facciano pure tutti i fatti loro, si godano la vita dorata a cui hanno accesso, si sollazzino come meglio gli pare ma che quando giocano lo facciano con lo stesso spirito che avevamo noi. Per loro stessi, per il calcio, per i nostri colori di cui vorrei fossero orgogliosi e … Per tutti quei bambini sugli spalti che alla fine dei conti siamo noi… A San Siro, al Bernabeu, all’Olimpia Stadium come… in Porta Genova…
Disse una volta “Jean Paul Sartre” non proprio l’ultimo arrivato. “il calcio è la metafora della vita”. Questa è la sua grandezza e per questo è lo sport più popolare al mondo. Voi che giocate davanti a milioni di tifosi avete una grande responsabilità. Non dimenticatelo…
Non prendetemi tropo sul serio. Sono solo piccole storie di vita, di cuore, di amore, di amicizia e di derby… storie di calcio… quello puro, quello vero…
FORZA MILAN
Axel
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