Dal turco al tucu il passaggio è breve, dura una manciata di secondi, quel breve lasso di tempo che va dal gol divorato dal turco al gol segnato dal “tucu” Correa. Qui è finita la nostra partita a Roma e, speriamo di no, il nostro sogno di tornare nell’Europa che conta per meriti sportivi e non per gli inciuci di Gazidis con Agnelli. Chiamatelo timing, chiamatelo “attimo fuggente”, chiamatelo momento topico o decisivo, ma quella palla del nostro numero 10 doveva entrare, ad ogni costo. Successivamente ne ha divorata un’altra per il solito vizio di fare 45947 tocchi prima di tirare in porta. Uno che vuole un ingaggio faraonico quella palla la sbatte in porta, si carica la squadra e ci porta in Europa. Le altre chiacchiere sono solo ed esclusivamente minkiate. I campioni, quelli veri, decidono le partite e le sorti delle loro squadre; un tennista vero fa l’ace quando serve. Con questo non sto dicendo che il tucu Correa sia meglio, parliamo di un altro incostante, ma che l’altra sera ha deciso la partita.
La colpa è nostra, che digiuni di soddisfazioni vere da oltre un decennio, ci siamo esaltati a dismisura per le prestazioni occasionali di un gruppo di giocatori che, per alcuni incroci astrali, andava al doppio della velocità e della qualità di gioco rispetto agli avversari, ma anche e soprattutto verso se stessi. Poi, come ha spiegato molto bene ieri Axel nel suo post, ci sono stati una serie di accadimenti fortuiti e voluti, casuali o meno, che hanno finito per distogliere la squadra da quello che era l’obiettivo principale. Non sto ad analizzare le cause, le conosciamo tutte molto bene: infortuni a catena, covid a gogo, squalifiche, condizione fisica che è andata mano mano scemando anche a causa delle motivazioni di cui sopra.
Di certo la società ha le sue colpe: non ha approntato una rosa per giocare su fronti diversi, anche a causa della poca volontà della proprietà di vincere: qui manca l’obiettivo sportivo conseguito ed inseguito con ferocia e determinazione, bensì c’è soltanto un non meglio identificato obiettivo economico per mandare avanti la baracca e tirare a campare in attesa di un acquirente. La riprova risiede in due concause abbastanza evidenti che stanno per tornare indietro come boomerang sulle teste di questa dirigenza poco lungimirante; tra novembre e dicembre si stava concretizzando un risultato inaspettato: una serie infinita di vittorie e primato in classifica. Bene, allora ti togli subito il problema dei rinnovi! Invece no, siamo ancora qui a sperare che questo o quello restino, che allunghino i contratti e che diventino colonne portanti del Milan che sarà. Tuttavia gli sparagnini hanno prima voluto capire quale coppa giocheremo, complici anche i vari procuratori sanguisughe per poi decidere. Ne è nato una tiramolla che ha portato a questi risultati. Incertezza su tutto.
Il mercato di gennaio è stato un mercato di affossamento, su questo ormai non c’è più alcun dubbio: gente dedita per ore all’autoerotismo sognando la coppia Ibra e Manzukko. Il primo, ha cominciato a pagare l’età con molteplici infortuni, ha pensato bene di farsi espellere, ha mostrato interesse per festival deserti della canzonetta italiana (avessi detto Nashville…), per un ritorno in Nazionale con partite contro nazionali dello spessore del Monza…, visite a ristoranti chiusi e quanto altro. Giustamente uno così, invece di ringraziarlo per quanto ha dato…, lo rinnoviamo a 7 milioni. Per me era anche l’occasione per cacciare Raiola e fargli avere un provvedimento restrittivo che gli impedisca di avvicinarsi a meno di 30 km di casa Milan.
Ho letto di gente che si è fatta uscire gli occhi dalle orbite a furia di pippe a due mani per Manzukko e Meitè. Uno va rimandato ad Evelina Christillin in modo che possa impreziosire il suo museo egizio di Torino (un ritorno a casa…) con questa mummia. Un giocatore stramorto che va aiutato con una bella traslazione. Meitè è una pippa indegna e conclamata, meritevole solo ed esclusivamente di andare in Angola insieme a Cagot. Mi rendo conto di essere, come sempre, feroce, ma almeno sono coerente, a differenza di quei poveretti che copiano i nostri nomi, i nostri meme su fb, o peggio ancora di quelli che copiavano costantemente i nostri soprannomi e adesso, in ossequio al padrone virologo di casa Milan, parlano di non fare pressione sui ragazzi; ma smettiamola con le cretinate.
In tutto questo bailamme è sparito Gazidis; non che se ne senta la mancanza, ma piacerebbe a molti sapere cosa pensa di questo momento, sempre che pensi qualcosa. I suoi più grandi piani sono andati male: puntare su Rangnick e poi tornare indietro e andare in Superlega per raggranellare oro, incenso e mirra da offrire ai due padroni. Ma tranquilli, non è sparito per sempre, magari! Quando fa queste figuracce si nasconde per scrivere l’ennesimo articolo da dettare alla Gazzetta. Nell’articolo, dopo aver riconosciuto l’impegno del Milan non nel vincere qualcosa, ma contro i mali del mondo e contro povertà, razzismo, infelicità e traffico in aumento sulle principali arterie cittadine…, parlerà di mirabolanti progetti che faranno eiaculare i soliti abbonebeti e quelli che hanno ancora l’erezione perenne per il nuovo sponsor BMW. Poveretti.
Rimangono 5 partite difficili, molto difficili. Dell’allenatore non parlo, ne ho mangiati troppi negli ultimi anni; questo a differenza di molti mi ha fatto divertire, ma nella sciagurata ipotesi di una mancata qualificazione Champions, è giusto che vada a casa: dimostrerebbe che non è allenatore da vertice, non è un vincente. Ha un altro anno di contratto e figuriamoci se i tirchi sprecheranno altro denaro. Ci sarebbero molti altri argomenti da toccare, ma non è ancora il momento, facciamo passare queste ulteriori 5 partite e poi vediamo. Rimane la delusione per essere stati campioni d’inverno e aver dilapidato una fortuna; inaccettabile.
Gianclint
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