Ho ancora il sangue amaro per i risultati in campionato contro Salernitana ed Udinese che avrebbero potuto darci una classifica parecchio più “simpatica” e che ci avrebbe portato a prospettive decisamente migliori nell’attesa dello scontro col Napoli di Domenica sera. Avessimo fatto risultato pieno, come avremmo dovuto fare (al di là di qualche “svista arbitrale”, ma che dalle parti della federazione non ci vogliano troppo bene lo sappiamo…) , avremmo potuto andare a Napoli col cuore molto più leggero. Senza contare il derby di coppa dove, pur giocando molto meglio degli odiati cugini, siamo mancati in fase di finalizzazione vanificando quanto di buono invece avevamo fatto in mezzo al campo.
Ora, se per la coppa, alla quale terrei parecchio, ci dovremo conquistare il turno “fuoricasa” (ma non è detto che sia una brutta cosa…) in campionato è tutto rimesso in discussione con Noi, Inda e Napoli che di giornata in giornata si scambiano il posto di favorita e con Giuve ed Atalanta (nel caso vincano il loro recupero) non del tutto tagliate fuori e dove tra arrivare al titolo e non riuscire a qualificarsi per la CL è questione davvero di poco.
“Once said that”, come scriverebbe in mio alter ego britannico, con quello che sta capitando al mondo, scrivere in questi momenti di calcio può sembrare sacrilego e, credetemi, è tutt’altro che facile ed infatti… non lo farò, non in senso stretto almeno. Vi riporto invece le dichiarazioni che Giorgio Furlani “Portfolio mgr” di Elliott, ha rilasciato ad un evento organizzato dal Financial Times. E’ un po lungo ma vi consiglio di leggerlo, sono certo troverete cosette interessanti…
A proposito del loro ingresso…
“Abbiamo cominciato come investitori. Il Milan era in una fase di transizione dalla famiglia Berlusconi, proprietaria per circa 30 anni. Subito dopo, entro un anno, il club è caduto in un certo tipo di difficoltà finanziaria. Quindi siamo dovuti entrare, abbiamo assunto la proprietà e così abbiamo stabilizzato la barca. Ciò che abbiamo trovato, di cui siamo entrati in possesso, era una situazione disastrosa. Il club andava verso la bancarotta da un punto di vista della cassa, scarsi ricavi, troppi costi. Quindi la situazione finanziaria era messa così male che l’anno successivo al nostro subentro abbiamo avuto un ban dalla Uefa per giocare nelle competizioni europee: unico club Europeo di successo ad aver ricevuto questo divieto. Non c’era una dirigenza e i risultati sul campo erano scadenti”.
“Allora abbiamo sviluppato un piano basato su specifici pilastri per capovolgere la situazione. La prima cosa è stata migliorare la performance sul campo. Poi abbiamo dovuto ridurre i costi e la rosa. Il Milan fino a quel momento aveva vissuto come se fosse ancora negli anni ’80. C’erano cose che potevi permetterti a quell’epoca ma che non puoi più permetterti adesso…. Abbiamo totalmente cambiato il primo e il secondo livello del management, portato e coinvolto un fantastico CEO, Ivan Gazidis, e con lui abbiamo avviato un percorso per trasformare il Milan, da un “club di calcio” a un “media business“. Se guardiamo ai club di vero successo, come il Real Madrid e il Manchester United, questi si sono realmente trasformati in una media company. Inoltre, abbiamo cambiato la leadership sportiva per provare ad andare bene sul campo. Infine, abbiamo proposto il progetto per un nuovo stadio… San Siro è uno stadio davvero affascinante, ma non è uno stadio da 2022. Quindi c’è l’esigenza di investire per cambiarlo. È stato un viaggio difficile con il Comune, ma stiamo andando avanti. Nel complesso, in 4 anni di nostra proprietà abbiamo fatto molte cose sbagliate, altre cose giuste, soprattutto all’inizio. Però poi c’è stata l’inversione a U di un club che ha un enorme potenziale per la sua fanbase locale e globale, la sua grande storia e la sua capacità di creare un business al top nel calcio”.
A proposito di Donnarumma (e non solo, non illudiamoci…)
“Alcune cose viste dall’esterno sembrano diverse da quando le analizzi dal di dentro. Sul macrolivello nel calcio molte scelte non vengono fatte con sguardo economico e analitico. Noi invece abbiamo provato a fare questo portando nelle scelte anche un punto di vista aziendale. Ad esempio, sarebbe finanziariamente stupido da parte nostra trattenere i nostri asset a qualsiasi costo: se si presentano scelte difficili da fare bisogna anche essere oggettivi e avere piano B. Abbiamo perso senza monetizzare il nostro miglior asset? È la struttura del business, delle regole che dovrebbero essere cambiate per garantire costi onesti e non abnormi. Dobbiamo lavorare con i vincoli di questo settore, avevamo un piano B e siamo contenti del nostro nuovo portiere”.
A proposito del futuro…
“Numero uno: investire nel business fino all’ultimo euro – spiega Furlani – Ma dare tutto per i giocatori crea una spirale negativa: bisogna investire anche per aumentare i ricavi. Numero due: sviluppare lo stadio e raggiungere i top club europei. Se si mettono a confronto i ricavi del Milan con quelli dei top club viene fuori un cartellino di Lukaku all’anno… Numero tre: lavorare con la propria Lega. Gli incassi da stadio sono più o meno sotto il controllo dei club ma quelli commerciali e dai diritti tv dipendono direttamente o sono influenzati dalla propria Lega. Ridurre i costi è comunque parecchio impegnativo: moltissimi club avrebbero rinnovato il contratto del proprio portiere a qualunque costo per la difficoltà di spiegare una scelta come la nostra ai propri tifosi. Superlega? La domanda giusta riguarda la struttura di una industria dove i grandi player perdono soldi non solo per cattiva gestione ma anche perché la struttura non è corretta. Guardando ai settori telco o utilities o alle banche, se il regolatore vedesse che le più grandi società perdono soldi non sarebbe contento e prenderebbe decisioni a riguardo. Le perdite sono un po’ causate dal Covid ma anche dal modo in cui il calcio è strutturato”.
E, per finire, sullo stadio…
“È un progetto che va avanti da tempo, da quando abbiamo preso la proprietà del Milan. Quando abbiamo mostrato l’opzione stadio a New York ci dicevano di non preoccuparci perché erano convinti che Milano non fosse una città come Roma: sfortunatamente Milano ha dimostrato di essere un po’ come Roma… Il Covid ci ha rallentato, Milano è stata tra gli epicentri della pandemia. La città ha dovuto pensare a sopravvivere più che agli investimenti. Il progetto ora è in mano al Comune che sta analizzando la situazione con i principali stakeholders. Io andavo a San Siro da ragazzo, è uno stadio che amo ma non è fatto per il mondo attuale, ha come core business solo i club mentre, tra le altre cose, deve diventare un posto di eventi-intrattenimento e serve la giusta struttura per dare ai nostri tifosi la migliore esperienza… Cosa ci blocca? C’è una spinta politica limitata perché alcuni stakeholders non vogliono andare avanti. La nostalgia è un sentimento molto italiano.”
Fatto salvo che non dice diverse cose, ad esempio perché “siano dovuti entrare, come fosse stato un obbligo…” (ma questo probabilmente non lo sapremo mai…), le parole di Furlan, a mio avviso dicono parecchio. Ci trovo un’analisi ed un visione lucida e non necessariamente negativa per il nostro futuro. Adesso, come sempre, la parola a Voi…
Forza Milan Sempre !
Axel
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