Tutto da perdere

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Ci sono diversi modi di affrontare una partita, per comodità li limitiamo a tre: il primo è giocare con la mentalità di chi non ha nulla da perdere, all’arrembaggio. Come se si fosse in Champions nella fase a eliminazione diretta e si dovesse recuperare un risultato particolarmente svantaggioso maturato nel match di andata. In questi casi l’accortezza lascia spazio alla spavalderia, i calcoli all’esuberanza. Un secondo modo è quello più equilibrato: rischiare sì, ma non troppo. Cercare di creare pericoli alla retroguardia avversaria solo in occasioni vantaggiose, senza sbilanciarsi mai troppo e senza rischiare di prestare il fianco alle sortite offensive di chi ci si trova davanti. Il terzo, diametralmente opposto al primo, è quello di chi ha tutto da perdere. Le quadre che scendono in campo in questo modo, a torto o a ragione, finiscono col subire la manovra avversaria, che sia quella di una grande squadra o di una piccola. È quel modo di vivere i 90 minuti che ingigantisce i propri problemi e le forze di chi si affronta, minando le proprie sicurezze, rendendo pressoché vano qualsiasi lavoro di preparazione tattica o emotiva svolto nei giorni precedenti al match. A mio modesto avviso, il Milan di Gattuso troppo spesso si ritrova ad affrontare le partite proprio in quest’ultimo modo.

Mettiamo le cose in chiaro: auspicavo l’esonero di Gattuso già a novembre, ma come si suol dire, alla fine a contare sono i risultati. Quelli dei rossoneri sono stati negli ultimi mesi incoraggianti, con tanti punti guadagnati rispetto alle squadre immediatamente davanti in classifica, fino addirittura ad accarezzare il “pensiero stupendo” di poter agguantare un incredibile secondo posto in campionato. I meriti di Gattuso in questa striscia positiva – ormai decisamente lunga – sono molti, e non possono essere sottovalutati. La sensazione che ho, tuttavia, ed è corroborata dagli ultimi due big match giocati (Roma e Inter), è che Rino, quando si trova ad affrontare squadre di lignaggio magari con il favore dei pronostico dalla propria, sia troppo rinunciatario, pensi troppo a non prenderle e troppo poco a fare la partita. Un Milan, insomma, più da difesa e contropiede che da “padrone del giuoco”. Si tratta di una sorta di auto-frustrazione deleteria, che nel corso del tempo può creare problemi più incisivi di una “semplice” sconfitta nel Derby. Pensate a quanti giovani calciatori fanno al momento parte della rosa rossonera, una delle più “verdi” della A: come cresceranno ‘sti ragazzotti? Sempre con il timore di prenderle? Di avere troppo da perdere per cercare di guadagnarsi ciò che spetta loro?

Confermo quanto scritto una settimana fa: affrontare l’Inter nelle condizioni in cui si trovava domenica sera era il nostro biglietto vincente, da non sprecare. Certo, il gol di Vecino al secondo minuto avrebbe tagliato le gambe a molte squadre, ma nonostante la botta da assorbire, la squadra ha fatto vedere troppo poco per i restanti 65-70 minuti. Reazione sterile, ancor più paura, un timore quasi reverenziale non giustificato dalla classifica delle squadre, né tantomeno dai diversi stati di forma. Chiaro, anche negli altri match contro compagini di valore inferiore a quello dell’Inter non è che il Milan avesse espresso il football del Barcellona di Guardiola, ma aveva mostrato una sicurezza nei propri mezzi esponenzialmente superiore a quella (non) messa in evidenza negli ultimi big match.

Insomma, fermo restando che la sconfitta brucia e brucerà ancora per qualche tempo, nulla è sicuramente perduto, ma non dobbiamo perdere l’occasione di sfruttare in tutto e per tutto i segnali ricevuti dalla scoppola di domenica. Anche e soprattutto perché ricordiamolo, noi stiamo giocando e ci stiamo battendo con le unghie e con i denti per un posto in Champions League, dove i big match, o comunque quelli da “dentro o fuori” in cui c’è molto più da perdere che da guadagnare, sono all’ordine del giorno. Non saper gestire questo particolare aspetto emotivo delle partite configurerebbe un’eliminazione ancor prima di scendere in campo, sempre ammesso di guadagnare il diritto a farlo.

Fab

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.