Virus e vaccini

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Una lunga striscia di V verdi, una P rossa e una N arancio. La sconfitta del Milan può essere semplicemente riassumibile ammettendo la superiorità di una Juve che non ammalia, ma che cannibalizza quasi ogni match che gioca, quasi ogni avversario che si trova davanti. Allarghiamo le braccia e ce ne facciamo una ragione. Sono lontani i tempi in cui giocavamo alla pari con gli odiati rivali, o quando li surclassavamo sul piano del gioco e delle individualità. Dovremmo forse dunque metterci l’anima in pace, continuare a fare il nostro cercando di battere chiunque non sia al nostro livello o dando più filo da torcere possibile a chi si gioca le posizioni appena dopo la prima. Insomma, vivacchiare, raggiungere il massimo senza però puntate a obiettivi almeno vagamente ambiziosi.

Già, non è il massimo della vita, ma dovremmo essere coscienti di ciò che siamo e ciò che possiamo produrre. O no? D’altronde sono due anni che non riusciamo a battere la Juve, la Roma ormai costantemente ci arriva davanti, senza parlare del Napoli. Ci siamo ridotti a questo? Il sapore che ha lasciato in bocca la partita di domenica non è molto diverso da quello che restituisce la disillusione del provarci e non riuscire mai. Di tanto in tanto facciamo qualche giro sulle montagne russe, ci illudiamo di cambiare la storia di una stagione dopo un paio di vittorie di fila, salvo poi tornare a fare i conti con la realtà. La vera domanda però è una, quella attorno cui gira tutto e che continua a far discutere i tifosi: siamo davvero solo questi o potremmo raggiungere qualcosa di più?

Come la penso lo sapete bene. Al netto di qualche exploit, sono anni che il Milan si arrangia con allenatori di livello medio o letteralmente tirati fuori dal cilindro, e a dimostrare la non eccelsa qualità degli ex tecnici ci sono anche i risultati ottenuti dagli stessi dopo aver lasciato la panchina del Milan. Montella? Al Siviglia dopo l’esonero rossonero, è stato nuovamente licenziato. Seedorf? Ha fallito al Deportivo. Mihajlovic? Esonerato dallo Sporting Lisbona ancor prima di cominciare. Inzaghi? Sulla cresta dell’onda a Venezia in Serie C e a Bologna. Brocchi? Non parliamone… Certo, c’è anche Allegri, su cui evidentemente abbiamo esagerato nei giudizi. A parte l’attuale mister della Juve nessuno degli ex tecnici del Milan ha dimostrato qualcosa di positivo ad alti livelli dopo aver concluso l’esperienza in rossonero. Siamo sicuri che in caso di esonero Gattuso possa rompere questa tradizione di mediocrità? Si può dire tanto del mercato che è stato fatto nelle ultime stagioni, che certo non ha portato all’ombra della Madonnina Messi e Neymar, ma un minimo di impegno c’è stato, qualche elemento di qualità è stato acquistato. Non si può dire lo stesso degli investimenti in panchina, lacunosi e lasciati troppo spesso al caso e alla mera opportunità piuttosto che alla programmazione.

Come detto c’è anche un’altra opinione sul Milan e la qualità della rosa: quella cioè secondo cui i nostri singoli siano nettamente inferiori a quelli delle altre squadre, e che perciò sia impossibile aspettarsi qualcosa in più in termini di risultati. Ecco quindi che Albiol e Asamoah, difensori di Napoli e Inter, sono troppo superiori di Romagnoli e Rodriguez. O Leiva e Pellegrini di Biglia e Kessié. Senza parlare di Milik e Icardi, di un altro pianeta se paragonati a Cutrone e Higuain. Sia chiaro, ci sono individualità di alto spessore nelle squadre che consideriamo come competitor (lo stesso Icardi ne è un esempio), ma la sensazione è che ogni nostro singolo punto di forza venga risucchiato all’interno di un vortice negativo che lo fa rendere o incidere meno di quanto potrebbe. È il caso dello stesso Pipita, che nonostante l’ottimo inizio di stagione lo scorso fine settimana ha messo in scena il peggio che avrebbe potuto. O Donnarumma, il fuoriclasse tra i pali che ancora si deve mostrare a pieno (e che ha preso qualche farfalla di troppo, ultimamente). È un po’ come se a Milanello aleggiasse un virus che alla fine della fiera colpisce chiunque, facendo uscire il lato più mediocre della sua personalità. Lo abbiamo detto recentemente, Gattuso in un solo anno ha fatto molto per tirare fuori qualcosa di buono da questa squadra, ma nemmeno lui sta rivelandosi in grado di essere il vaccino di cui abbiamo bisogno. Forse è più semplice di come la facciamo, magari basterebbe davvero una striscia di vittorie per far guadagnare fiducia alla squadra, quella fiducia che dà la possibilità di raggiungere risultati teoricamente fuori portata, ma è anche vero che le vittorie arrivano dopo aver maturato la piena consapevolezza delle proprie risorse, non viceversa.

Questi possono sembrare discorsi “campati in aria”, troppo incentrati sulla psicologia del gruppo che sulla tattica e le individualità tecniche, ma dopo aver cambiato giocatori, aver migliorato la rosa, aver provato ogni modulo mai immaginato nella storia del calcio, ci ritroviamo ancora una volta punto e a capo. L’investimento che manca davvero? È sempre e solo uno: il grande allenatore. Quale? Sono tutti (o quasi) irraggiungibili per le nostre tasche. Ma il problema è questo: ripetere che non abbiamo i soldi per un tecnico di alto livello, continuando ad arrangiarci con improvvisati o mediocri, non risolverà nulla. E sembrerà folle scriverlo (e per carità, lo è davvero e me ne rendo conto), ma un Guardiola, un Sarri, un Klopp saranno davvero un’utopia solo dopo aver davvero provato a portarli qui.

Fab

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Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.