Gli anni settanta sono stati anni di alti e bassi, a suo modo anni duri, la società italiana era in fermento, sono stati gli anni dei referendum, gli anni di piombo e nel mio Veneto anni dove iniziava la crescita economica che però venivano accompagnati dal fiorire della mafia del brenta. Per il Milan sono stati anni di contestazioni, di proteste, famose quelle di Rivera ribadite più volte: “Finchè dura Campanati sarà sempre così. Tutto è cominciato tre anni fa con un certo Sbardella. Mi aspettavo che Campanati ci mandasse il siluro nella partita di Torino, invece lo ha fatto meglio qui. Anche a Torino era riuscito in parte nel suo piano, ma almeno con una certa eleganza. […] Non ho paura, vado anche dalla magistratura ordinaria se occorre. L’unica logica che c’è in queste cose è che bisogna far perdere il Milan. […] E’ il terzo campionato che ci portavano via gli arbitri”.
Queste frasi molto forti ed ahimè ancora molto attuali, costarono al Gianni tre mesi e mezzo di squalifica.
Nonostante tutto questi anni settanta ci hanno portato una Coppa delle Coppe ed un’altra persa in finale con l’onesto Magdeburgo e tre Coppe Italia di cui due consecutive.
Salutiamo gli anni settanta con la conquista del tanto sognato scudetto della stella, ma anche con il ritiro del Divino Gianni Rivera e la scomparsa del Paron, artefice assieme al Golden Boy di tanti trionfi rossoneri.
Arrivano gli anni ottanta purtroppo non iniziano bene, perché il Milan è coinvolto nel calcioscommesse e subirà la retrocessione in Serie B, e qui iniziano i miei ricordi. Sono ancora molto sbiaditi nel tempo perché dopo il primo anno di purgatorio il Diavolo ritorna subito in Serie A, ma la stagione 1981/82 si rivelerà disastrosa. Il Milan retrocede per la seconda volta in Serie B e questa volta è il campo a decretare il verdetto anche se qui si potrebbe aprire un capitolo enorme. Quel 16 maggio 1982 succede di tutto il Milan sta perdendo 2-0 a Cesena e il Napoli è in vantaggio per 2-1contro il Genoa, poi i rossoneri in meno di un quarto d’ora ribaltano la situazione con i gol di Jordan, Romano ed Antonelli. Una giostra di gol che premiava il Milan ma al San Paolo la ripresa è cominciata con 5 minuti di ritardo. Mentre io festeggio con papà la vittoria scaccia fantasmi sventolando la mia bandierina rossonera nel capoluogo campano succede di tutto.
Castellini, portiere del Napoli è pronto a rilanciare la palla in avanti con le mani. Improvvisamente, con un movimento innaturale, la sfera sfugge al portiere partenopeo e finisce addirittura in Calcio d’angolo. Un pastrocchio degno di “Mai dire gol”, una roba mai vista su un campo di gioco. Il resto ve lo risparmio, è stata tutta una “Faccenda” strana. Dal ridere e sventolare la mia bandierina rossonera, il bimbo Harlock è in un angolino a sfogare la sua rabbia e soprattutto la sua delusione, parzialmente mitigata dal mundial spagnolo in quella stessa estate che per la storia italiana vuole dire molto.
La stagione seguente si gioca la serie B, i miei ricordi sono molto più nitidi, sopra al mio letto c’è sempre lo Squalo Jordan ad esultare nel famoso derby di Coppa Italia della stagione precedente. I miei ricordi iniziano ad essere molto più nitidi. Posso tranquillamente affermare che è la stagione dove io consegno la mia anima al Diavolo in modo definitivo. Sono andati via molti “Vecchi” come Maldera, Antonelli, Novellino, Buriani. E si dà fiducia a dei ragazzi giovani, come Chicco, Mauro, la fascia di capitano passa sul braccio di un giovane ragazzo di nome Franco perché Collovati si è rifiutato di giocare un secondo anno di serie B ma come dico io il Karma arriva per tutti basta saper aspettare. Arrivano in rossonero un giovane Aldo Serena, Canuti, Pasinato dai cugini nell’affare Collovati che sveste il rossonero per indossare quel neroazzurro. Vengono acquistati anche Flipper Damiani e soprattutto il giocatore che realizzerà molti dei miei desideri, l’uomo dei miei sogni, un mio corregionale: Vinicio Verza.
Milano come città si sta evolvendo, il Pil sta crescendo, l’economia è in fermento, nel capoluogo lombardo s’inizia a respirare aria di socialismo, dopo anni difficili, Milano si sta trasformando nella “Milano da bere”. Ed in tutto questo il Milan ci mette del suo, perché la squadra è forte, giovane, fresca e domina il campionato. Certo di Serie B, però San Siro è pieno, ribolle di passione per i suoi giocatori e anche nei momenti difficili come la famosa Milan-Cavese il pubblico non è mai mancato. Io in quella famosa partita c’ero e sono orgoglioso che il mio battesimo ufficiale in rossonero sia stato in serie B e con una sconfitta. Questo darà molto più sapore ai successi futuri.
Nel 1983 si festeggia il ritorno definitivo in serie A, per l’occasione Giussy Farina saluta Joe Jordan, Serena, Canuti e Pasinato che ritornano dai cugini neroazzurri in quanto non vengono riscattati (errore grossissimo) dal presidente, e acquista tale Luther Blissett capocannoniere della Premier League ed Eric Gerets, difensore belga secondo me forte che però viene coinvolto in uno scandalo di calcio scommesse in Belgio e quindi squalificato. Assieme ad un crepuscolare Luciano Spinosi, ritorna dopo un anno di prestito a Pescara Filippo Galli, un ragazzo che qualche pagina importante la scrive nella nostra storia. Annata di alti e bassi che ci vede arrivare a ridosso della zona Uefa. L’unico scossone, oltre al tragicomico Blissett, è l’esonero di Castagner reo di aver firmato per la stagione successiva con l’Inter.
Estate 1984, è la mia stagione delle prime rivincite sui compagni di scuola bianconeri e neroazzurri. In panchina ritorna il Barone Liedholm e assieme a lui vengono acquistati Giuliano Terraneo, il duo inglese Hateley e Wilkins, Pietro Paolo Virdis e un Vicecampione d’Europa come Agostino Di Bartolomei. Io ero bambino ma acquistare un giocatore da quella Roma era tanta roba per l’epoca. Dicevamo la stagione delle rivincite, si perché battemmo la Juventus a San Siro, la Roma in casa e fuori con la rissa tra Graziani e Di Bartolomei, il Verona che quell’anno vince uno storico scudetto ma non riesce mai a batterci. E poi c’è il momento per eccellenza, quell’attimo dove il piccolo diavolo inizia a rialzare lo sguardo e a mettere il primo mattoncino per le fondamenta di un Milan che diventa grande.
In un derby da tutto esaurito, in una Milano sempre più in fermento, in una Milano che si appresta ad inventare un nuovo modo di fare imprenditoria, in una Milano dove inizia a farsi conoscere un signore che si chiama Silvio Berlusconi con le sue tv private, e che nel periodo estivo organizza i mundialiti a San Siro. In tutto questo noi milanisti abbiamo un appuntamento che non vogliamo mancare e l’orologio della storia ci porta dunque alle 15:47 ed è ora il caso che le lancette rallentino, l’aria si rapprenda, il tempo si cristallizzi e San Siro diventi il teatro di quello che deve accadere. In possesso palla c’è Franco Baresi, il libero della Stella, il giovane difensore che invece è rimasto anche in B per ben due volte, diventando LUI capitano, al posto di Fulvio Collovati. Il Piscinin, in libera uscita all’incirca sulla linea dei 40 metri avversari, alza la testa e pennella di destro verso l’area di rigore. Qui è appostato Mark Hateley, lungagnone inglese arrivato in estate dal Portsmouth. Si porta ovviamente dietro il fantasma di Luther Blissett, ma il suo rapporto con il pubblico di casa è ben altra cosa: sei partite, quattro gol, tutti a San Siro, due di testa. Attila stacca in relativa solitudine e con una frustata da cervicale fulminante indirizza la palla verso il secondo palo, ma Zenga è reattivo e smanaccia verso la sua sinistra, dov’è appostato il libero interista Graziano Bini, che con un tocchetto di esterno destro serve Altobelli, venuto a prendersi palla nella sua metà campo. Spillo cincischia maldestramente e Baresi gli si avventa addosso come un dobermann, recupera palla e apre prontamente a destra per Pietro Paolo Virdis, che si porta sull’ala e alza lo sguardo in cerca di Hateley in centro area. L’azione caotica e velocissima fa sì che l’area dell’Inter sia momentaneamente deserta di milanisti: l’unica forma di vita nei sedici metri nerazzurri ha le fattezze di Collovati. Ma passa una frazione di secondo ed ecco che arriva una specie di direttissimo da Stazione Cadorna: è Mark Hateley, che sta puntando il numero 5 di Collovati. Attila piega le ginocchia, si dà uno slancio fortissimo, una botta di reni pazzesca, stacca i piedi dal suolo. Mezzo secondo prima il piede destro di Virdis ha pennellato da fondo campo una traiettoria tesa e arcuata, di quelle che oggi i telecronisti di una certa età ricordano sospirando: “Eeeehh, non ci sono più i giocatori che vanno sul fondo a crossare”. Vola Hateley e vola la palla. Nel frattempo il nostro orologio segna le 15:48 e noi non possiamo che guardare e respirare quel momento storico. Di sotto, intanto, Collovati si oppone con la stessa convinzione con cui un bambino di otto anni può pararsi dinanzi a un treno merci. BANG! Impatto avvenuto, tra la testa di Hateley e il pallone. La seconda frustata di Hateley in venti secondi è quella definitiva: dalla sua testa esplode una fucilata imparabile all’incrocio dei pali; Zenga abbozza il tuffo, ma non ci crede mai neanche per un attimo di poter prendere quel pallone.
San Siro esplode di una gioia incontenibile, mentre Attila no, non ha ancora iniziato a scendere.
Quando i suoi piedi toccano terra, è sommerso da Baresi e Wilkins festanti, ma quel gol, fatto in quel modo, umiliando l’ex capitano passato ai cugini rappresenta per i tifosi il gol di una piccola svolta, il finalmente sentirsi importanti e poter guardare i tifosi neroazzurri dritti negli occhi.
Quella sera idealmente ho staccato il poster di Jordan e messo quello di Mark che sovrasta il traditore, cosa avvenuta effettivamente qualche settimana dopo. Quel poster con l’inglese in torsione rimarrà appeso per qualche anno finché non arriva un cigno dalla città di Utrecht.
La stagione si chiude con la qualificazione alla Coppa Uefa, e la finale di Coppa Italia persa contro la Samp, nostra autentica bestia nera quella stagione assieme al Torino. Finale raggiunta dopo aver eliminato i cugini con altri due derby bellissimi. Con i cugini quell’anno giochiamo 4 derby e finiamo l’annata imbattuti anche grazie al mio Vinicio che ci regalerà il pareggio nel derby di ritorno di campionato.
In questo racconto del Piccolo Diavolo manca ancora una stagione, quella 1985/1986 un po’ tribolata e avara di soddisfazioni, però è l’annata sportiva che ci porta ad un cambiamento epocale ma di questo ne parleremo la prossima volta.
To be continued….
FVCRN
Harlock
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