Ritratti – Ray Wilkins

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Il “pin pin” mediatico – Fino a qualche tempo fa andava di moda parlare di “tam tam” mediatico. Oggi il passaggio di una notizia avviene attraverso le chat ed i telefoni trillano più delle campanelle di “jingle bells” sotto Natale. Mercoledì 4 aprile 2018 circa a metà del pomeriggio mi stavo preparando ad andare a vedere il derby quando il cellulare ha iniziato con il suo “pin pin”. Ho aperto la custodia e letto un paio di banner che anticipavano la questione: Ray non ce l’ha fatta…
Lo sapevo, non era logico aspettarsi niente di diverso. Ma la notizia è arrivata comunque come un colpo basso; senti il dolore ma quello che ti ammazza è la scorrettezza, l’ingiustizia. Non mi venite a dire che le morti sono tutte uguali, ce ne sono alcune che pesano più di altre. Ci sono alcune persone la cui scomparsa viene vissuta come uno sgarbo che ci viene fatto dal destino. Ci sono persone che entrano nell’immaginario collettivo e nella morte vengono eternate in un sempre che, pur non avendo una giustificazione sportiva, ha una spiegazione reperibile nei sentimenti positivi che hanno saputo suscitare anche fuori dal campo. Raymond Colin Wilkins era uno di questi, anzi È uno di questi. Gli inglesi hanno un detto secondo il quale il rugby è uno sport da delinquenti giocato da signori ed il calcio è uno sport da signori giocato da delinquenti. Allora Ray è un mediano di apertura che ha saltato la lezione in cui spiegavano questo proverbio.

Storia e leggenda – Hillingdon, 14 settembre 1956. Giovanili del Chelsea fino al 1973 quando esordisce in prima squadra come esterno sia a destra che a sinistra. Due anni dopo gli mettono la fascia di capitano al braccio e lo spostano in mezzo al campo fino al 1979, anno in cui si trasferisce al Manchester United. E questa è storia. Ma c’è anche la leggenda di un ragazzo che dopo due anni dal suo esordio viene nominato capitano perché è l’epitome perfetta del calciatore inglese o di quello che dovrebbe essere un calciatore britannico di quell’epoca: dinamico e tecnico, duro e corretto al tempo stesso. Il soprannome Razor, “Rasoio”, se lo merita perché, pur correndo molto, da centrocampista centrale è in grado di tagliare il campo con passaggi precisissimi. E questa è leggenda. Come lo è il racconto che ricordo di avere letto sulla bibbia rossonera della mia giovinezza, il periodico “Forza Milan!”: contrasto in mezzo al campo, Ray ci va giù duro come al solito, lui ed il suo avversario finiscono per terra. Ray si rialza, va a sincerarsi che l’altro stia bene e, quando questo gli dice che è tutto a posto, Rasoio si accascia al suolo e devono portarlo fuori in barella perché si è mezzo rotto un piede. Sogno? Ricordo male? È leggenda anche questa? Probabile, non abbiamo Youtube per verificarlo. Ma, come ben potete immaginare, quando arriva la notizia di Wilkins al Milan il popolo milanista ha un fremito.

Come On Guys

Grandi sogni di un piccolo Milan –. È il giugno del 1984 quando Giussy Farina regala ai rossoneri una campagna acquisti faraonica per i nostri standard. Giuliano Terraneo, affermato portiere proveniente dal Torino; Agostino Di Bartolomei, il capitano della Roma che Liedholm aveva portato alla finale di Coppa dei Campioni; Pietro Paolo Virdis ex grande promessa, mai mantenuta, del football italiano che era finito ai margini del grande calcio; Mark Hateley, un promettente ragazzone inglese dal gol facile. La ciliegina sulla torta è proprio il Rasoio: capitano della nazionale inglese e centrocampista centrale del Manchester United che, pur non essendo più quello di Matt Busby e non ancora quello di Alex Ferguson, è comunque una delle grandi del calcio mondiale. Dopo due retrocessioni e qualche anno difficile la risposta rossonera ai campioni che arrivano in quegli anni in un campionato ricco di fascino e prestigio (Platini, Falcao, Socrates, Cerezo, Rummenigge e Maradona) è il capitano della nazionale inglese. Che fai? Non sogni? Certo che sogniamo, siamo milanisti!

Il Milan degli imbattibili – No, non stiamo parlando di quello dei giocatori Invincibili che arriverà qualche anno dopo. Gli imbattibili sono i tifosi del Milan. Eravamo splendidi! Un popolo incredibile che non esitava mai, nemmeno di fronte all’evidenza. Il secondo anno di Serie B ha dell’incredibile perchè ogni partita casalinga è un record di spettatori e di incasso, Serie A inclusa. Siamo un popolo con un’identità precisa, il suo essere casciavit, una bandiera unica, il milanismo rappresentato da Gianni Rivera e Franco Baresi ed un fuoco interiore che non ha rivali al mondo. E sulla fiamma che arde nei cuori del nostro popolo il piccoletto inglese soffia forte. 73 partite e soli due gol uno dei quali passerà alla storia per essere decisivo nella vittoria casalinga contro i gobbi di cui, a dispetto di quello che favoleggiano altri, siamo stati e saremo gli unici veri oppositori. Non ci sono divisioni artificiose o imposte dall’alto ma l’unica granitica fede in quei due colori e in chi li indossa con onore e lealtà. Termini cari a quel piccolo grande lottatore del centrocampo.

Il Milan degli invincibili – Tre stagioni di corsa (sempre meno) e geometria (sempre più) fino all’arrivo del Milan berlusconiano. Incroci del destino, capricci della storia. Ray è il “metronomo” del centrocampo rossonero anche nel primo anno del regno Fininvest. Il Milan, ancora e sempre in anticipo sui tempi, è già messo 4-4-2 ed è proprio il professor Rasoio che spiega a tutti come si gioca quel modulo che hanno inventato dalle sue parti. Allievi interessati sono alcuni “ragazzi” che avranno modo di scrivere qualche pagina importante nella nostra storia: Baresi, Maldini, Costacurta, Tassoti, Evani, Filippo Galli, Massaro, Virdis. Assistente della cattedra è Agostino Di Bartolomei, il preside è Niel Liedholm. Non vale chiedersi come mai Arrigo Sacchi arriva e salta direttamente al ventesimo capitolo: come giocare 442 a zona al triplo della velocità degli altri e demolire gli avversari.
I tre docenti però non sono più giovani e poco si integrano con lo stile Fininvest. Salutano tutti e tre dopo avere lasciato altrettanti insegnamenti fondamentali. Il primo è un lascito tattico: come giocare il modulo che segnerà in maniera indelebile il decennio successivo. Il secondo è umano: la correttezza e la lealtà non sono un orecchino di brillanti o una fuoriserie con colori mimetici e non si possono comprare ma vanno studiate e ristudiate. Il terzo è morale: il Milan è il Milan, una cosa speciale che va rispettata fino in fondo. Anche se sei romano, svedese o di un sobborgo di Londra. Vanno via in silenzio, con la classe che li ha sempre contraddistinti, proprio mentre atterrano gli elicotteri all’Arena.

Drogba e Terry hanno ringraziato il Milan per questo ricordo. Altri, no…

Sotto la curva – L’ultima partita Ray la gioca a San Siro contro il Barcellona durante il Mundialito del 1987. I compagni provano a portarlo sotto la curva per l’ultimo saluto prima di andare al PSG (che non è quello miliardario di oggi). Lo vogliono portare lì perché Ray con il tifo rossonero ha avuto un rapporto speciale e la curva lo sta acclamando. Dopo i gol rossoneri andava sotto lo spazio occupato da Fossa e Brigate urlando “come on”. E la sud lo ricambiava come in quegli anni ricambiava tutti i suoi protetti cioè quelli che avevano voglia di sputare sangue e sudore per la maglia. Ma il professor Ray questa volta si rifiuta e scappa negli spogliatoi con una mano sul volto a nascondere le lacrime. Lui il suo lo ha fatto, i suoi insegnamenti li ha lasciati a chi di dovere e sa che il futuro della maglia è in buone mani. E poi fuori stanno atterrando gli elicotteri…
Ray tornerà a San Siro dieci anni dopo nella partita di addio di Franco Baresi che lo vuole nella squadra delle all star mondiali perché lo ritiene degno di un simile onore. E poi mercoledì scorso dopo ventuno anni sempre accompagnato dal Franz che proprio sotto la Sud porta un mazzo di fiori e la maglia numero 8 del Rasoio. Perché lui mercoledì è stato con noi è ci ha regalato le ultime due prodezze.

Non sarete davvero così ingenui da credere che uno come Icardi quei due gol li abbia sbagliati per caso?

Pier

PS: dietro quei continui “pin” di mercoledì scorso c’erano tanti amici dai quaranta in su. Li abbraccio tutti, compreso Carlo che ha condiviso uno struggente tweet di un sito inglese nel quale un ex militare diventato senzatetto ha raccontato il suo incontro con Ray. “Mi ha guardato, si è seduto accanto a me ed abbiamo parlato. Mentre stavamo parlando gli è squillato il cellulare e lui ha risposto: “Scusa ma in questo momento sono occupato, ti richiamo”. Poi mi ha dato 20 sterline e mi ha portato a bere un caffè. Gli ho detto: “Posso pagarlo io? Voglio tornare a sentirmi un essere umano”. Mi ha guardato ed ha capito. Mi ha fatto pagare. Oggi sono una persona diversa, mi sono rimesso a posto e lo devo anche a lui.”
Magari non è vero.
E magari Icardi quei gol li ha sbagliati da solo…

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La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.