La trappola del disfattismo

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Provo ad andare sùbito al sodo senza troppi giri di parole. Credo – e sottolineo, credo, ma non penso di sbagliarmi – di essere uno dei pochi milanisti che, ad oggi, non è deluso da questa stagione sportiva. Chiaro, avrei preferito essere in finale di Coppa Italia e con la certezza magari matematica della qualificazione alla prossima Champions League. Ma, tutto sommato, nonostante il periodo molto, molto complicato che il Milan sta vivendo, non ho alcuna intenzione di cadere ancora nella trappola qualunquistica della caccia alle streghe, prendendomela un giorno con i giocatori, un altro giorno con il tecnico e un altro giorno ancora con la società, senza dimenticare arbitri, dei e congiunture astrali sfigate. Allo stesso tempo ho ancora gli occhi per vedere e un cervello per elaborare quello che vedo e valutare: è evidente che molti errori sono stati commessi da parte di tutte le parti in causa, ma la storia mi ha insegnato che per giudicare il presente non bisogna mai scordare il passato. E allora ecco che, se si guardano le cose tenendo a mente quanto appena affermato, le prospettive cambiano e quella che oggi ha il gusto una tisana alla cicuta acquisisce tutto un altro sapore, ben meno amaro e letale. 

Rapidamente, vi scrivo cosa penso io, premettendo che essendo un’opinione è del tutto opinabile e assolutamente personale. Primo: credo che questa squadra stia facendo la migliore stagione del Milan degli ultimi otto anni. Secondo: questa squadra è stata sostanzialmente costruita in un’estate da una proprietà che dopo un anno si è dileguata, con un budget che ha consentito di acquistare ottimi giocatori ma non certo grandi campioni affermati. Terzo: questa società è subentrata l’ultimo giorno dello scorso mercato in pieno caos, ha portato uno come Bakayoko che proprio schifo non sta facendo e ha azzeccato una scommessa costosa come Piatek che, per chi se lo fosse scordato, lo scorso anno non giocava nel Real Madrid, ma nel Cracovia. Non solo. Grazie al suo peso politico, nemmeno lontanamente paragonabile a quello di chi l’ha preceduta, è riuscita, per ora, a evitare guai seri con le autorità sportive europee che rischiavamo e ancora in parte rischiamo di pagare per scelte altri. Quarto: l’allenatore di questa squadra, a giudizio di chi scrive, è il migliore allenatore (forse alla pari con Sinisa Mihajlovic) che il Milan ha avuto negli ultimi dieci anni. 

Ciò premesso capisco che noi milanisti siamo gente difficile. Abbiamo vinto tanto, in tanti abbiamo ancora negli occhi imprese come quelle di Atene e Manchester, gruppi di fenomeni come quelli a disposizione di Sacchi e soprattutto Capello, campioni del calibro di Van Basten, Gullit, Baresi, Nesta, Sheva, Kakà, soltanto per citare i primi che mi vengono in mente. Ma adesso, anno nel Signore 2019, tutto questo non c’è più. Fatevene, facciamocene tutti una ragione. Finito. Stop. Ragionare oggi come ragionavamo anche soltanto dieci anni fa, quando qualcuno si permetteva il lusso prendere per il culo e di storcere il naso davanti a un Dio del calcio come Ronaldnho, sarebbe impensabile e insensato. 

Sia chiaro: con questo non sto affermando che dobbiamo rassegnarci a un’eterna mediocrità e che non vinceremo più nemmeno una coppa del nonno. Sto semplicemente sostenendo l’ovvio, guardando in faccia la realtà senza adagiarmi nella trappola dei sogni. Il percorso, lungo e ad ostacoli, è iniziato ad agosto, se andrà bene ci vorranno anni per tornare ad assomigliare a quelli che fummo. La buona notizia è che tutto sommato, ad oggi, tutto sta procedendo secondo i piani. Tra alti e bassi. E questo, purtroppo, è un momento durissimo che fa parte dei «bassi».

Come ho già avuto modo di scrivere e come qui intendo ribadire penso che i problemi siano stati scatenati da una pessima gestione del dopo derby, quando sono iniziate a circolare voci – non sementite con la giusta forza ed efficacia da entrambe le parti – su presunti dissapori tra il tecnico e la dirigenza. Una situazione che ha minato le certezze di una squadra che per mesi è parsa solida, compatta e soprattutto efficace. Cosa è cambiato? E’ stato soltanto un (lungo) periodo fortunato? Possibile che i giocatori che pochi mesi fa hanno piegato la tanto lodata Atalanta a Bergamo siano partiti per vacanze anticipate, lasciando il posto ai loro gemelli scarsi? La risposta è ovviamente negativa, anche se – come sempre in ogni sport e non soltanto nel calcio – quello che conta è sono i risultati e i giudizi vanno calibrati proprio su quelli. 

Ed è per questo che invece di piangerci addosso o di smadonnare contro questo o contro quell’altro ora e più che mai è il momento di compattarci, crederci e lottare insieme alla squadra fino all’ultimo respiro per raggiungere quello che era ed è il traguardo fissato a inizio stagione: il posto in Champions League, il vero crocevia, l’autentico punto di svolta.

Non facciamoci illusione alcuna: il calendario è durissimo, a partire da Torino. Il momento è terribile e la condizione psicologica, ma anche fisica, mostra più di una crepa. In tutto questo l’ultima delle cose di cui abbiamo bisogno è la negatività, il disfattismo, quella spirale di pessimismo misto a rabbia che avvelena i pozzi e non porta da nessuna parte, se non all’inferno sportivo. 

Gridiamo tutti insieme, forza Milan, invece. Imprecazioni, lacrime e chiacchiere teniamocele per quando la stagione sarà terminata. Per quelle, nel caso, ci sarà un’estate di tempo.

Ma, magari, come spero, anche, no.

Marco Traverso

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Giornalista professionista, marketing & communication manager, social media manager, fotografo amatoriale, milanista, tonsore.