L’avevo scritto nel mio precedente contributo e i fatti – mio malgrado – mi stanno dando ragione: ormai – colpi di scena a parte – pare fatta per la partenza di Higuain, dopo sei mesi in rossonero contraddistinti da qualche bel gol e da parecchi mal di pancia. L’avevo scritto e lo riscrivo. Potete cambiare il soggetto, ma il risultato non cambia. Oggi come oggi, 20 gennaio 2019, per il Milan non ha alcun senso puntare sui cosiddetti top players. Due le ragioni principali. La prima, i costi. Con una società in «convalescenza finanziaria» non è sostenibile avere in rosa gente da 7-8 milioni di euro netti l’anno. E’ come se uno, costretto a una dieta ferrea per ragioni di salute, pretendesse di consumare un chilo di gelato al giorno, magari con qualche pasticcino o meringa di contorno. Magari più avanti, oggi non si può. La seconda invece è oggettiva, già dimostrata: i top players, al di là dei soldi, pretendono altri scenari, altre competizioni, altre piazze. E allora facciamocene una ragione (noi e l’attuale dirigenza) e adeguiamoci. Lavoriamo piuttosto per creare le condizioni per cui tra 3-4 anni gli Higuain di turno faranno a gara per una maglia rossonera. Per farlo serve soltanto una cosetta: tornare nel club dei club che contano davvero. Di quelli che in Champions ci giocano ogni anno, stabilmente. Di quelli che superano il primo turno e, magari, ogni tanto arrivano pure in fondo o quasi. Di quelli che lottano ogni anno per lo scudetto. Come si fa? Tre parole: programmazione, capacità e lungimiranza. Leonardo e Maldini rappresentano esperienza dirigenziale (il primo) e carisma e Dna rossonero (il secondo). Gazidis è invece l’uomo che è riuscito, in 13 anni di Arsenal, a tenere la squadra a un livello accettabile con i bilanci in ordine. In attesa che arrivi un magnate (speriamo) interessato a rilevare la baracca e a trasformarla in una reggia servono quindi idee chiare e rispetto dei ruoli. Dai dirigenti agli allenatori, fino a chi scende in campo. Chi non ci sta, chi non è contento, che si accomodi pure alla porta.Â
Krzysztof Piatek fino allo scorso anno giocava nel Cracovia e in due anni, nel campionato polacco, ha messo a segno praticamente una rete ogni due partite. L’ha notato il Genoa che lo ha portato in Liguria per meno di un milione di euro. Ora, dopo una prima parte di campionato eccezionale (13 reti in 18 partite) il probabile trasferimento al Milan, per una cifra che i giornali valutano in 40 volte superiore a quella di acquisto. Piatek è un attaccante moderno, uno che sa fare un po’ tutto, ma soprattutto uno che pare abbia facilità a vedere la porta. E’ del 1995, non è un ragazzotto, ma nemmeno un giocatore già maturo e ha sicuri margini di miglioramento. Se arriverà a Milanello lo farà con lo spirito giusto, a differenza di Higuain che – evidentemente – ha vissuto come una diminutio il passaggio dal bianconero al rossonero, per le ragioni di cui sopra. Così come, con lo spirito giusto, pare essersi inserito Paqueta. Pochi fronzoli e tanta sostanza, qualità e lavoro in attesa di vederlo all’opera anche in posizione più avanzata, dove pare riesca a dare il meglio. Per ora, buone le prime.
La finale di Gedda ha dimostrato che – almeno sulla partita secca – questo Milan non è, paradossalmente, tanto inferiore alla Juventus. Al netto degli errori arbitrali e al livello tecnico complessivo e alla profondità della rosa oggettivamente differente, la squadra ha ben figurato, e non oso pensare come sarebbe finita se quella invenzione di Cutrone non si fosse stampata sulla traversa, ma fosse finita in rete. Abbiamo perso ancora, ma a differenza della finale di Coppa Italia abbiamo perso giocando alla pari, facendo paura a chi è partito pensando di vincere passeggiando. La buona notizia è che – Higuain o non Higuain – la squadra è tignosa, rognosa e bella compatta intorno al suo tecnico. Gli sguardi feroci del ritorno a Malpensa devono essere il punto di ripartenza per un girone di ritorno da giocare con il coltello fra i denti. Già con il Genoa occorre tornare a vincere, ad ogni costo. Perché mai come quest’anno arrivare in alto sarà fondamentale, se non vitale, per il futuro del Milan.Â
Marco Traverso
Seguiteci anche su