Derby: niente drammi, ma che serva di lezione. Biglia-Kessie, tensione positiva. San Siro, lasciamo da parte il cuore e pensiamo al futuro

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Kessie si è reso protagonista di un alterco con Biglia al momento della sostituzione.

Che cosa avevo scritto prima del derby? Nulla di scaramantico, ve lo assicuro. Semplicemente avevo ammonito che partire favoriti, nella stracittadina, può essere una maledizione. Specie se gli avversari non hanno nulla da perdere o quasi. In realtà il Milan non è uscito da San Siro a testa bassa, anzi. Onestamente, se alla fine fosse finita in pareggio non ci sarebbe stato più che tanto da dire. Però questa sconfitta, che brucia, deve servire da lezione. Deve ricordare che la superbia arriva a cavallo e torna a piedi. Deve suggerire che lo spirito di una squadra vincente è sempre caratterizzato dalla totale assenza di «pietà sportiva». Bisogna scendere in campo sempre, chiunque sia l’avversario, con la bava alla bocca e l’ossessione per la vittoria. Partire molli, pensando magari di essere superiori e che prima o poi le cose si metteranno al meglio è il peggiore errore che si possa commettere. E noi, contro l’Inter, ci siamo cascati in pieno. Ma non arrabbiamoci. Gli alibi sono tanti e dopo anni e anni in cui abbiamo mangiato pane e deiezioni, si può anche perdonare uno scivolone, seppur grave. L’importante è fare tesoro degli errori e provare a non ripeterli. 

Il triste siparietto fra Biglia e Kessie è stato raccontato dai più maliziosi come un segnale di uno spogliatoio in fermento. Nulla di più sbagliato. Che, forse, i due non si amino è un forte sospetto. Ma d’altronde succede in tutti gli spogliatoi, anche in quelli più vincenti. Pensate forse che nel Milan di Sacchi, di Capello o di Ancelotti andassero tutti d’amore e d’accordo? In nessuno spogliatoio tutti sono amici di tutti. E gli «scazzi» anche pesanti, possono succedere. L’importante è che poi tutto si ricomponga, che non si creino fazioni, che non si spacchi l’ambiente. Ecco, se è così allora il nervosismo è da considerarsi un buon segno. Perché a un giocatore che se ne fotte io preferisco mille volte uno che non accetta di uscire dal campo, che si incazza. A uno svogliato preferisco uno nervoso, anche se quando eccede va ripreso e, se è il caso punito. Ma se l’episodio è da censurare, ovviamente, lo spirito che l’ha provocato no. Quello è, paradossalmente un buon segno e mi fa ben sperare nella determinazione dello spogliatoio e, di conseguenza, nel finale di stagione. Nel quale Gattuso dovrà continuare a dare il meglio per tenere la barra diritta. Già a cominciare da lunedì contro l’Udinese, partita da vincere a tutti i costi per riprendere la corsa Champions.

Quando si parla di uno sport in cui girano milionate di euro come fossero noccioline, i sentimentalismi non possono che stare a zero. E’ un dato di fatto. Spiace, certo, ma non può essere diversamente. Magari fino a qualche anno (tanti anni, in realtà) fa era diverso. Ma oggi è così. Quando parlo di sentimentalismi il riferimento è ai paladini di San Siro, a quelli che già piangono pensando a uno stadio tutto nuovo, con tanti saluti al catino che è stato teatro della storia delle due squadre milanesi. Eppure occorre lasciare da parte gli affari di cuore e agire. E pure in fretta. Il Milan (ma anche l’Inter) è fra le poche realtà di una certa importanza europea a non possedere uno stadio tutto suo. Per come la vedo io non è possibile e nemmeno accettabile che il secondo club europeo per Champions League vinte, dopo il Real Madrid, non abbia una casa tutta sua, da sfruttare e far fruttare, da riempire e da far diventare un’icona. Italiana e non solo. Ed è per questo che già il fatto di dover coabitare con i cugini sarebbe una limitazione non da poco. Serve uno stadio tutto rossonero, con buona pace delle vedove di San Siro che ci saranno sempre e che avranno anche tutta la mia simpatia e solidarietà. Però il mondo è cambiato, il calcio di più e noi siamo drammaticamente indietro. Perdere altro tempo (come probabilmente accadrà, perché siamo in Italia) sarebbe peccato mortale. 

Marco Traverso

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Giornalista professionista, marketing & communication manager, social media manager, fotografo amatoriale, milanista, tonsore.