Nell’ultimo mio articoletto avevo scritto a chiare lettere che il giudizio sulla stagione, fino a quel momento, non poteva considerarsi negativo (e lo confermo) così come non poteva considerarsi negativa l’esperienza di Rino Gattuso sulla panchina rossonera, ricevendo per queste due affermazioni anche parecchie critiche da alcuni di voi affezionatissimi lettori (Le quali, per inciso, sono sempre molto bene accette, quando costruttive). Purtroppo i fatti, soprattutto sul punto numero due, mi hanno smentito, dato torto marcio. E quando è così non si può che riflettere, fare ammenda e riconoscere il proprio errore. Che in questo caso, evidentemente, è un errore di fondo.
Già , perché a confondermi sono stati i risultati. Che, come tanti anni di esperienza (si fa per dire eh…) mi hanno insegnato, sono forse l’unica cosa che conta – ed è ovvio, fossimo primi in classifica nessuno avrebbe nulla da dire – ma che andrebbero sempre valutati sotto la lente dell’analisi crirtica, anche quando positivi. E quando si indossano le lenti della critica allora la realtà appare sotto un’altra forma, simile ma differente.
Avevo scritto che un allenatore, nel calcio, incide di poco sul risultato finale della squadra. Lo avevo scritto e ne resto convinto. Moduli, formazioni, astuzie tattiche servono poco, se poi i giocatori non sono in grado di fare la cosa più banale, ma efficace, di questo sport: non subire reti, portare la palla avanti e fare gol. Altro non c’è. Tanto per capirci: se il Barça non avesse avuto quel Messi probabilmente il Liverpool oggi avrebbe ottime chance di andare a giocarsi la finale di Champions. Un giocatore, nulla di più… E allora, mi chiederete voi giustamente, secondo te, che ci sta a fare il mister? Credo sostanzialmente due cose: motivare i giocatori e scegliere quelli più in forma da far scendere in campo. Tranne in rare, rarissime eccezioni, che poi passano alla storia del pallone. Che «gioco» hanno mai inventato, per citare due nomi tra i più quotati, Antonio Conte e José Mourinho? L’abilità dei due è stata quella di essere capaci e di aver saputo, in fasi e modi diversi, far rendere 100 quello che valeva 60. E 150 quello che valeva 100. Confesso che ero convinto che Rino Gattuso avesse nel Dna le caratteristiche per poter fare – e bene – quelle due fondamentali cosette. E invece no. Il giorno dopo aver scritto l’ultimo articolo ho seguito sbigottito la conferenza stampa pre partita contro il Torino. E lì ho capito che non c’eravamo proprio. Toni dimessi, sguardi cupi, messaggi dall’odore di negatività . Umiltà , certo. Ma l’impressione che il primo a non credere nelle possibilità del Milan di strappare i tre punti all’Olimpico fosse proprio lui, il condottiero.Â
Che forse – e qui mi tocca fare ammenda – tale non è. Il mio errore, così come quello di tanti, va detto, è stato di confondere un guerriero con un condottiero. Su questo non ci sono dubbi: in campo Rino Gattuso era uno che dava l’anima. Magari lo faceva in modo plateale, forse addirittura un po’ teatrale, però la dava tutta. A fine partita era spettacolare confrontare le medie dei chilometri percorsi da ogni elemento in campo e vedere che tra i primi, se non al primo posto, c’era proprio l’ex numero 8. Rino urlava, ringhiava, si buttava su ogni pallone e si incazzava, forse addirittura troppo, se perdeva anche solo un contrasto. Rino è quello che quando purtroppo è stato male se ne è fregato ed è sceso in campo lo stesso contro la Lazio, anche se la sua vista non gli permetteva di giocare come avrebbe saputo e voluto.Â
Rino era ed è questo: un guerriero. Uno che correva e rincorreva la palla con la rabbia di un leone a caccia della gazzella. Ma con tutta probabilità non era, e non è, un condottiero. Sì, perché le figure del guerriero e del condottiero possono anche coincidere. Ma spesse volte, probabilmente la maggior parte, non è così. Il condottiero ha del guerriero la determinazione e la voglia di vincere in battaglia. Ma alla foga, alla «tigna» agonistica a quello che Gattuso ha ben definito il «veleno», antepone leadership, carisma, sangue freddo e capacità di motivare se stesso e i suoi, di leggere e comprendere in tempo reale il momento e di pianificare una strategia o una tattica adatta a ogni situazione. Senza mai farsi sopraffare dallo sconforto o, al contrario, dall’entusiasmo.Â
Ecco il mio errore. Aver pensato che il guerriero Rino fosse anche un condottiero fatto e finito. Forse lo sarà un giorno, chi lo sa. Ma riflettendo sui toni della conferenza stampa prepartita, unita ad altre esternazioni, sguardi, espressioni e atteggiamenti delle settimane e dei mesi precedenti mi è sorto il sospetto, più che un sospetto che, ad oggi, ancora non lo sia. Anche se, e lo ribadisco, chi ha la responsabilità di gestire questa società in questo momento poco ha fatto per sostenere il proprio uomo nella fase più importante e delicata della stagione.Â
Bene, forse avevate ragione voi. Forse Gattuso non è (ancora) adatto a fare l’allenatore del Milan. E forse non ha nemmeno tutti i torti il figlio di quel noto ex dirigente che dalle sue pagine social ha fatto notare come gli allenatori del Milan degli ultimi dieci anni fossero tutte figure alla prima grande esperienza o comunque non abituate a guidare club di prima fascia. Un’anomalia evidente.
Ecco perché, una volta alzate le mani e ammesso l’errore di valutazione, mi guardo intorno e dico: ma quale tecnico di quelli che oggi, anno domini 2019 realisticamente (e sottolineo, realisticamente) potrebbe arrivare al Milan potrebbe davvero fare la differenza? Io sono limitato, non ne vedo molti. Ho letto tanti nomi, uno più divertente dell’altro, ma nessuno che, almeno a parere mio, sposterebbe l’asticella di un millimetro rispetto ad oggi. Ne vedo pochissimi ottimi che però da noi probabilmente non verrebbero mai, almeno in questo particolare momento storico.
E voi, che avete una vista migliore della mia, chi vedete?
Marco Traverso
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